lunedì 24 luglio 2017

Scugnizzi (Scugnizzi, 1989) di Nanni Loy

Fortunato Assante, mediocre organizzatore di spettacoli, sempre alle prese con i creditori e la difficoltà di farsi largo nel suo mondo popolato da famelici "squali", ha l'idea di mettere in piedi un musical teatrale con giovani dilettanti reclutati nel carcere minorile di Nisida, in cui ciascuno racconterà un pezzo della sua dolorosa vicenda. Vivendo a lungo insieme agli attori/detenuti, l'uomo impara a conoscerli, empatizza con loro e viene coinvolto direttamente nel loro tragico vissuto. Con il rischio di invischiarsi in situazioni pericolose il determinato Assante capisce che la recita può essere per i ragazzi una piccola e momentanea occasione di riscatto e riesce ad ottenere la disponibilità del prestigioso teatro San Carlo per la sera della prima. Ideato e diretto da Nanni Loy, ma scritto da Elvio Porta, questa sorta di Chorus Line partenopeo, è il film più ambizioso e sentito dell'autore sardo, una sorta di summa sentimentale del suo amore per quell'immenso teatro a cielo aperto che è Napoli, città dai mille contrasti e dalle mille bellezze da sempre fortemente collegata alla sua carriera. Questo viscerale musical drammatico è un crudo affresco antropologico a due livelli: quello della finzione che avviene sul palcoscenico e quello della tremenda realtà dei ragazzi protagonisti, fatta di tristi storie di degrado morale, brutale violenza e aberrante crudeltà. Il pretenzioso tentativo di fondere poesia ed efferatezza, cronaca e melodramma, musica e crimine, denuncia e folclore,  e, soprattutto, arte e vita (in accordo alla leggendaria teatralità napoletana in cui spesso il vero si confonde con la sua figurazione), è riuscito solo in parte in un film squilibrato che spesso procede per accumulo di sensazionalismo tragico, in odore di quell'odioso vittimismo populista che spesso fa da alibi ai mali della città. Le parti migliori sono quelle che avvengono sul palcoscenico, grazie alle belle musiche di Claudio Mattone (che hanno avuto più successo del film stesso), ad alcune notevoli invenzioni visive (come non citare la scena delle "zoccole") ed alla appassionata interpretazione dei giovani interpreti che hanno tutti la faccia giusta per esprimere un'antica rabbia sociale. Dal punto di vista del saggio sociologico sui tanti problemi di Napoli è un film grossolano, stereotipato e in certi casi addirittura deprecabile per il suo semplicismo assolutorio che nega il valore del libero arbitrio (non è detto che chi nasce in un ambiente di delinquenti sia costretto a delinquere, perchè l'uomo ha sempre una scelta). Dal punto di vista del musical è invece un potente spettacolo carico di passione sospeso tra la romanza e la sceneggiata, ma con un gusto vivacemente moderno. Troppo amore fa spesso perdere la bussola, impedendo di assumere il giusto distacco emotivo per raccontare una storia in modo lucido e obiettivo e senza troppa enfasi sentimentale. Film più deludente che riuscito, ma le tre stelline di ordinanza vanno alla verve degli attori e alle musiche di Mattone che valgono il costo del biglietto.

Voto:
voto: 3/5

Nessun commento:

Posta un commento