lunedì 17 luglio 2017

Moon (Moon, 2009) di Duncan Jones

La Lunar è una società che ha definitivamente risolto il problema energetico della Terra attraverso l’estrazione di un gas (Helium 3) dalle rocce presenti sul lato in ombra della Luna. Il prezioso lavoro di raccolta del gas viene svolto sulla stazione lunare Selene da parte di un super computer parlante e di un unico essere umano che viene sostituito ogni 3 anni. Sam Bell è ormai prossimo alla scadenza del suo contratto con la Lunar e, dopo aver svolto un lavoro minuzioso e soddisfacente, si appresta a tornare sulla Terra. Durante il lungo periodo di forzato isolamento l’uomo ha avuto modo di meditare su se stesso e lavorare sul suo carattere turbolento ma, appena due settimane prima della partenza, inizia a vedere strane cose che gli fanno sorgere inquietanti sospetti. Ma è tutto frutto della sua mente che vacilla per la lunga solitudine o c’è davvero un complotto in atto contro di lui da parte della società ? Straordinario film di fantascienza “colta” e intimista, lontanissimo dagli stereotipi di grossolana spettacolarità hollywoodiana, diretto con sorprendente sicurezza dall’esordiente Duncan Jones, figlio del leggendario David Bowie che, proprio 40 anni prima, aveva dedicato una delle sue più celebri canzoni (“Space Oddity”) ad un astronauta triste per la sua solitudine. Girato a basso costo con grande perizia artigianale dal sapore vintage, è un potente dramma intimista “da camera” sul tema dell’identità, dell’importanza della memoria e dell’emarginazione. Semplice e angosciante nel suo asettico minimalismo, riesce a trasmettere allo spettatore il medesimo senso di frustrazione del protagonista, tra giornate sempre uguali, rituali quotidiani, ambienti opprimenti ed un solo “amico” artificiale con cui parlare, il freddo computer GERTY che, in originale, ha la voce di Kevin Spacey. Denso e profondo nei contenuti e nell’analisi della psicologia di Bell, è un coraggioso (e purtroppo raro al giorno d’oggi) esempio di fantascienza alta, concettuale e filosofica, che guarda ai grandi Maestri del genere (Kubrick e Tarkovskij in primis). Minimale ed ipnotico, claustrofobico e inquietante nella sua calma apparente, è anche una sottile parabola etica sull’importanza dell’uomo in un mondo sempre più schiavo della tecnologia e dell’economia, nonché una piccola perla sci-fi che si fa testimone di un tipo di cinema che, per fortuna, non è mai completamente morto. Notevole interpretazione di Sam Rockwell nel ruolo del protagonista.

Voto:
voto: 4/5

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