martedì 25 luglio 2017

Narciso nero (Black Narcissus, 1947) di Michael Powell, Emeric Pressburger

Una piccola comunità di suore inglesi di stanza a Calcutta, partono per il Tibet dove intendono aprire una nuova missione cattolica. Si insediano in un castello avuto in dono da un generoso principe indiano ma devono scontrarsi con un ambiente ostile e diffidente, estremamente legato ai suoi riti religiosi e poco aperto verso le novità. Ad aumentare il disagio si aggiunge il luogo in cui le monache risiedono, infatti il castello del principe era in principio un harem, le cui pareti interne sono ancora piene di immagini e decorazioni che richiamano i piaceri sessuali, creando un senso di vertigine nelle suore. A mano a mano alcune di loro iniziano a provare dubbi sulla loro fede e a rimpiangere la vita che hanno abbandonato. La morte di una bambina locale, portata inutilmente in cura nell'ambulatorio del convento, peggiora la situazione innescando un inarrestabile vortice tragico. Ardente melodramma di ambientazione religiosa, tratto da un romanzo di Rumer Godden, appassionato nei toni, morboso nelle atmosfere, visivamente stupefacente nell'espressivo utilizzo in soggettiva dei colori (che si adattano allo stato d'animo dei personaggi) e diretto con mano sapiente dalla coppia Powell e Pressburger, che riescono a costruire un mondo chiuso e straniante che annebbia la mente ma solletica i sensi. Dal punto di vista stilistico è un autentico capolavoro, forse il risultato più alto raggiunto da Michael Powell nella sua palpitante estetica che fonde cinema e pittura, fino a raggiungere il feticismo dell'immagine come elemento artistico supremo. L'abbacinante confezione formale, in un fiammeggiante technicolor, fa da splendida cornice a una storia tesa come una corda di violino e interamente costruita sui contrasti: quello tra due culture e religioni così diverse e forse incompatibili, quello tra spirito e carne, tra fede e ragione, tra dovere e desiderio, tra raziocinio e follia, tra misticismo e mondanità. Con un coraggio notevole per i tempi, che costò all'opera numerosi tagli di censure per i contenuti "scandalosi", i registi realizzano un film autorevole e carico di personalità, una lucida riflessione sulle difficoltà di una scelta di fede e su come l'ambiente circostante possa influenzare la nostra personalità. Numerose le sequenze memorabili tra cui ricordiamo quella angosciosa sull'orlo dell'abisso e quella di Suor Ruth che si passa il rossetto rosso fuoco sulle labbra. Nel cast è straordinaria Deborah Kerr, seguita a ruota da Kathleen Byron, Flora Robson e Jean Simmons. Vinse due premi Oscar: alla splendida fotografia di Jack Cardiff ed alle ricche scenografie barocche di Alfred Junge. Da collocare tra i capolavori del cinema britannico di ogni tempo, è un film da recuperare e da conservare nella propria collezione personale.

Voto:
voto: 4,5/5

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