Michael
Clayton è un avvocato che lavora per il più importante studio legale di New
York che lo utilizza come “faccendiere” per ripulire gli affari sporchi che
inevitabilmente emergono. Stanco del suo lavoro ma schiacciato tra debiti e un
divorzio in atto, Clayton non può rinunciare al suo alto stipendio, ma stavolta
si trova a dover fronteggiare un caso molto scottante: un amico e collega, Arthur
Edens, in preda ad un crollo psicologico, cerca di sabotare una importantissima
causa contro un colosso dei prodotti chimici, accusato di aver messo in
commercio diserbanti cancerogeni, pericolosi per la popolazione. Quando Edens
muore in circostanze poco chiare per un presunto suicidio, Clayton si rende
conto che il “gioco” è andato oltre ogni limite e identifica il colpevole nella
cinica Karen Crowder, avvocato rampante della controparte disposta a tutto per
la causa e la carriera. Clayton è messo davanti ad un’ardua scelta morale da
cui potrebbe dipendere la sua vita. Affilato legal thriller diretto in maniera classica, vicino all’estetica del
grande cinema americano d’impegno civile degli anni ’70 (quello di Lumet, Nichols,
Pakula o Pollack). Ben scritto dallo stesso regista e diretto con asciutta
sobrietà nelle svolte e nei colpi di scena, è un calibrato film di attori che
si regge su tre interpretazioni straordinarie: quella di George Clooney, mai
così intensa e sofferta, quella di Tilda Swinton (premiata con l’Oscar), che
tratteggia una “cattiva” profondamente sfaccettata come espressione della
spietata logica del capitalismo occidentale, e quella di Tom Wilkinson, che dà
fondo al suo talento teatrale con ammirevole rigore. L’epilogo apparentemente
consolante è reso ben più ambiguo dal sottile e lunghissimo primo piano finale
sul volto accigliato e tormentato di Clooney, il cui sguardo vale più di tante
parole. Non è un film particolarmente innovativo o che brilla per originalità,
ma comunque da collocare sopra le media di centinaia di suoi simili già solo
per il sapiente disegno in chiaro scuro del personaggio principale, che è ben
lungi da essere un eroe, un ignavo redento o un moralizzatore, ma, più
realisticamente, un uomo rotto a tutte le esperienze, fortemente disincantato,
ormai insoddisfatto di quello che fa e costretto a difendersi con le unghie per
non farsi annientare dagli sporchi giochi che sono il suo pane quotidiano.
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