martedì 25 luglio 2017

Cristo si è fermato a Eboli (Cristo si è fermato a Eboli, 1979) di Francesco Rosi

Nel 1935 l'intellettuale torinese Carlo Levi, medico, scrittore e pittore, non gradito al regime fascista per le sue idee liberali e i suoi scritti polemici contro la dittatura di Mussolini, viene mandato al confino, con due carabinieri che lo scortano fino ad un remoto paesino agricolo della desolata Lucania, Aliano. Qui il nostro entra in contatto con un mondo ancestrale di cui ignorava l'esistenza, un'altra Italia che sembra ferma a cento anni prima, all'antica cultura contadina in cui le giornate trascorrono tutte uguali all'insegna del duro lavoro manuale e i ritmi di vita sono regolati da quelli naturali. Dopo la reciproca diffidenza iniziale Levi, durante le sue lunghe passeggiate per le strade del paesello, riesce ad entrare in sintonia con buona parte della popolazione locale. Una popolazione semplice, ignorante, gretta, che confonde superstizione con religione e magia con scienza, intimamente rassegnata ma anche fiera, latrice di un'umile dignità che ha radici antiche e che si poggia sulla saggezza e la forza interiore di chi ha vissuto una vita di stenti e privazioni. Proponendosi come medico, Levi ne conquista la fiducia e il rispetto, e rimane colpito dalla profonda carica umana, dai forti valori atavici e dalla grande solidarietà sociale che esiste in questo piccolo mondo antico lontano anni luce dalla politica, dall'economia e dalla guerra. Quando gli sarà concesso di tornare alla sua Torino, Levi porterà sempre nel cuore il ricordo di un'esperienza indimenticabile, di una terra aspra e austera e dei "suoi contadini". Racconterà questo suo periodo di vita nel romanzo autobiografico che lo ha reso celebre (e da cui il film è tratto): "Cristo si è fermato a Eboli", di cui è doveroso citare uno dei passaggi iniziali più belli e poetici, che ci immergono subito nel clima soffuso dell'opera: "Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l'anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia". Dopo la sua morte la salma dello scrittore fu sepolta nel cimitero di Aliano, per obbedire alla sua precisa volontà ed alla promessa fatta ai "suoi contadini" di tornare un giorno in quei luoghi che gli erano entrati nel profondo. Era quasi inevitabile che un autore impegnato come Rosi decidesse di adattare un libro come quello di Carlo Levi, impresa non facile per la densa profondità poetica delle pagine del romanzo ma perfettamente riuscita grazie ad una trasposizione potente, lirica, delicata, che possiede l'armonia dell'elegia spirituale e la forza dell'apologo politico. Scritto dal regista insieme a Tonino Guerra e Raffaele La Capria, è un pudico affresco malinconico sul mondo contadino, di cui ne vengono mostrate la greve durezza e la sobria grazia, con incursioni fantastiche che virano nel mitico. La descrizione ovattata e nostalgica di questo piccolo limbo remoto ai confini della civiltà ha una serena forza spirituale che guarda al mistico, al magico, alla favola archetipo su un modello di vita che tende a scomparire inesorabilmente. Straordinarie le ricostruzioni ambientali e la caratterizzazione dei personaggi, i cui volti, i cui occhi e le cui voci hanno un realismo di possente suggestione evocativa. L'integrazione tra grandi attori come Gian Maria Volonté (ancora una volta straordinario in una interpretazione dimessa e accorata), Lea Massari, Alain Cuny, Irene Papas,  Paolo Bonacelli e caratteristi o figuranti locali è perfettamente riuscita, dando vita ad un connubio di viscerale verismo. Alla componente emozionale introspettiva, l'autore accosta anche una pungente analisi politica sull'annosa questione meridionale, eterna promessa del governo italiano da usare come spot nelle campagne elettorali per accaparrarsi i voti del Sud e il cui presunto "mantenimento" ha segnato la fine della civiltà contadina, della sua nobile dignità e dei suoi antichi valori, barattandoli con un consumismo di massa che ha prodotto una pseudo cultura su larga scala che ha però appiattito le menti, aderendo ad una pericolosa omologazione ideologica che fa gli interessi del potere. La questione della libertà di pensiero, dell'individualismo, della possibilità di esprimere concetti anticonformisti e dissonanti rispetto alle mode o ai proclami del sistema è alla base del romanzo, del film ed è un concetto universale, fondamentale oggi come allora. Questo magistrale ritratto umano messo in scena da Rosi, lieve, intenso, denso, di asciutta sobrietà, di fatata malia e di tagliente riflessione politico sociale, è uno dei film più belli e importanti dell'autore napoletano, incredibilmente snobbato da buona parte della critica italiana alla sua uscita. Prodotto dalla RAI è disponibile in due versioni: quella cinematografica di 150 minuti e quella televisiva (divisa in quattro parti) di 270 minuti. E' da recuperare assolutamente, magari anche nell'edizione estesa che è più completa, didattica e vicina alle pagine del romanzo.

Voto:
voto: 4,5/5

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