Sull'altopiano di Asiago, durante la prima guerra mondiale, i soldati del generale Leone conquistano una cima strategicamente importante con un alto costo di circa tremila caduti, ma poi ricevono l'ordine improvviso di abbandonarla. Dopo che il nemico austriaco vi si è saldamente insediato l'ordine cambia ancora e viene chiesto un nuovo sforzo per riconquistare la postazione d'altura. Gli assalti disperati provocano stragi quotidiane tra gli italiani e due ufficiali coraggiosi, i tenenti Ottolenghi e Sassu, si convincono dell'incapacità del loro comandante e dell'assurdità della loro azione. Fomentando una protesta convincono molti commilitoni dell'inutilità di una guerra che i potenti chiedono di combattere mandando a morte migliaia di giovani innocenti. Ma la punizione per aver disobbedito agli ordini di un superiore sarà esemplare. Vibrante e controverso film politico, pacifista e antimilitarista di Francesco Rosi, tratto dal romanzo "Un anno sull'Altipiano" di Emilio Lussu. Nel perseguire la sua tesi contro tutte le guerre, l'autore realizza un affresco polemico a due facce: una di grande impronta spettacolare con le grandi scene di battaglia all'insegna di una cruda violenza visiva ed una dichiaratamente marxista nell'attaccare la cinica logica delle autorità militari che mandano al massacro i "morti di fame" mentre loro se ne stanno al sicuro in poltrona. In questo senso l'opera sposta il discorso bellico a quello politico della lotta di classe, non senza una certa demagogia populista. Nonostante la condivisibile legittimità delle idee del regista, la pellicola risulta eccessivamente succube della sua tesi iconoclasta, volta a demistificare l'eroismo patriottico e la mitologia della "grande guerra" in nome di un attacco troppo carico di livore verso il potere. Questi concetti, ormai unanimemente accettati e condivisi dalla massa, erano troppo rivoluzionari nel 1970 e infatti il film fu ferocemente criticato e bandito dalle istituzioni come un fazioso atto di sabotaggio nei confronti dell'esercito, offensivo per la memoria dei tanti eroi caduti sul campo. Rivisto oggi non se ne può ignorare la lungimirante preveggenza e la giusta indignazione, pur nei modi eccessivi di una dura requisitoria "a tesi". Nel cast spiccano Gian Maria Volonté, nobile alfiere del nostro cinema socialmente impegnato, Alain Cuny e Pier Paolo Capponi. Con un po' più di misura e di sobria lucidità nell'esposizione antiautoritaria, le quattro stelline sarebbero state indiscutibili. Ma anche così è un film importante, coraggioso e fieramente dissidente.
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