martedì 18 luglio 2017

Il dubbio (Doubt, 2008) di John Patrick Shanley

Bronx, 1964: nella scuola cattolica St. Nicholas la rigida preside Sorella Aloysius Beauvier gestisce le regole con ferrea disciplina e austero conservatorismo, convinta che la severità e il rigore siano alla base dell’educazione. Intanto nella società americana sono in corso profondi mutamenti sia politici sia culturali e sia di costume e questo vento di cambiamento viene introdotto nell’istituto dal carismatico e dinamico Padre Flynn, che auspica una revisione dei metodi di insegnamento più conforme allo spirito dei tempi. Non a caso viene accettato il primo studente di colore, Donald Miller, a cui Flynn si dedica con grande gioia e dedizione, facendolo diventare chierichetto. La giovane Sorella James, ingenua e carica di ideali, nota qualcosa di strano nel rapporto tra il prete e il giovane afroamericano e condivide con la preside il suo sospetto di presunte molestie sessuali. La Beauvier, pur in mancanza di prove certe, scatena una sorta di crociata contro Padre Flynn per farlo allontanare dalla scuola, nonostante l’accusato si dichiari estraneo da ogni addebito infamante. Lo scontro tra i due crea un vero terremoto nell’istituto e nella chiesa locale, col rischio di conseguenze gravissime. Splendido dramma “da camera” di John Patrick Shanley, che adatta e dirige per il cinema la sua omonima opera teatrale di grande successo, già vincitrice del Premio Pulitzer nel 2005. La trasposizione è fedele nello spirito anche se lascia fuori il contesto politico esterno, con gli echi ancora forti dell’omicidio Kennedy e l’imminente Concilio Vaticano II. Proprio su queste due simboliche direttrici va posizionato il senso intimo del film: il conflitto tra tradizione e innovazione, calato in un ambito notoriamente complesso, problematico e conservatore come quello ecclesiastico. La sceneggiatura granitica e la messa in scena generalmente classica ne fanno una parabola lucida e sottile sul relativismo della verità, sull’ambiguità e sulla fallibilità di tutto ciò che è umano, rendendo quindi il dubbio un fattore imprescindibile rispetto ad ogni ricerca analitica che cerchi di trovare una risposta o una soluzione. Ben lontano dall’essere un film anticlericale, la pellicola lascia che sia lo spettatore a decidere da che parte stare e l’autore mantiene uno sguardo asettico e neutrale, facendo intendere che, spesso, le domande pesano più delle risposte. Solleticando lo spirito critico del pubblico con un ginepraio di contraddizioni, psicologie, sottotesti, interrogativi e sospetti, il film finisce per essere, come da titolo, una fine apologia dell’indeterminatezza e, quindi, una critica del dogmatismo. Il difetto maggiore dell’opera è il tentativo un po’ maldestro del regista di differenziare la pièce teatrale dal film attraverso acrobazie tecniche (inquadrature sghembe o vertiginose riprese dall’alto) che stonano con il contesto generale “vecchio stile”. Il punto di forza assoluto è invece la straordinaria performance dell’intero cast, in cui è davvero arduo stabilire chi sia il più bravo tra Meryl Streep, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams e Viola Davis, tutti candidati all’Oscar per la loro interpretazione. Memorabile il confronto verbale tra la Beauvier (Streep) e Flynn (Hoffman), un autentico e sacrosanto manuale di recitazione.

Voto:
voto: 4/5

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