martedì 18 luglio 2017

Thirteen - 13 anni (Thirteen, 2003) di Catherine Hardwicke

Tracy è una ragazza di 13 anni che vive con la madre Melanie, parrucchiera a domicilio, con cui ha un buon rapporto. Dopo l’iscrizione alle scuole superiori l’incontro con la sveglia Evie, considerata la più sexy dell’istituto, di cui Tracy subisce inevitabilmente il fascino, la trasforma da studentessa modello tutta Barbie e peluche del cuore in una ribelle sfacciata che trascorre il suo tempo tra ossessione per l’aspetto, droga, sesso occasionale, piccoli reati e atti di autolesionismo. La madre dovrà lottare con tutte le sue forze per impedire che sua figlia sprofondi nel baratro della perdizione. Cinico e scioccante dramma sociale, sceneggiato dalla regista esordiente Catherine Hardwicke insieme all’attrice Nikki Reed che nel film interpreta la “bad girl” Evie. Nel rispondere alla domanda “cosa vuol dire avere 13 anni a Los Angeles ?”, la pellicola porta in scena uno squallido microcosmo della “peggio gioventù”, in cui la mancanza di ideali, di valori, di riferimenti e di esempi validi, spesso costituisce la porta di accesso privilegiata (o l’alibi) verso i comportamenti deprecabili. Lo sguardo realistico, nervoso e feroce della regista cerca di analizzare le motivazioni di certi comportamenti, rilevandoli facilmente in omologazione, emulazione, fragilità emotive, incomprensioni irrisolte, scarsa autostima, rabbia repressa, carenze affettive. Per la sua analisi spietata, per la crudezza del linguaggio e di numerose sequenze (la cui resa è amplificata dalla bravura delle tre attrici principali), il film è un autentico pugno allo stomaco che non mancò di suscitare vibranti polemiche alla sua uscita, come quella di mostrare un unico punto di vista autodistruttivo o di spettacolarizzare gli atteggiamenti deviati, dipingendoli come cool. Se certe critiche sono indubbiamente faziose ed eccessive (oltre che immancabili in ogni film che parli di sesso o violenza), va detto che non è tutto oro quello che luccica, e infatti la pellicola della Hardwicke, malgrado la sua pretesa di indagine antropologica e di denuncia sociale, non è esente da una certa furbizia di maniera, a cominciare dall’impaginazione grafica patinata, dai luoghi comuni in cui cade pesantemente, da certi dialoghi patetici o dalla retorica di diverse scene madri in cui Holly Hunter dà fondo al tutto il suo talento di attrice accademicamente impostata. Diciamo pure che, ad un certo livello, l’opera cerca di cavalcare l’enfasi scandalosa di un fenomeno indubbiamente preoccupante (oltre che grave), utilizzando un look ed un linguaggio “alla moda”. Non c’è dubbio che la brutale immersione nella “girl culture” a cui il film ci costringe potrebbe risultare parecchio indigesta ai genitori maturi di figlie adolescenti, ma lo scontro inter-generazionale è sempre esistito, agli occhi dei “vecchi” i giovani sono sempre sembrati scapestrati ed il pessimismo su larga scala diventa rapidamente pavido disfattismo. I problemi adolescenziali esistono ma vanno analizzati e, per quanto possibile, affrontati dai genitori in collaborazione con i propri figli, non ignorati o esagerati. Il punto di forza indiscutibile di questo controverso Thirteen è certamente l’ottima interpretazione del cast femminile, che annovera Evan Rachel Wood, Nikki Reed e Holly Hunter (candidata all’Oscar come migliore attrice non protagonista).

Voto:
voto: 3/5

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