lunedì 24 luglio 2017

Mi manda Picone (Mi manda Picone, 1983) di Nanni Loy

Pasquale Picone, operaio napoletano dell'Italsider a rischio di licenziamento, si cosparge di benzina e si dà fuoco davanti al Comune di Napoli, in un gesto estremo di protesta. Dopo essere stato soccorso da un'ambulanza sparisce misteriosamente senza lasciare traccia. La grintosa moglie Luciella si rivolge a Salvatore Cannavacciuolo, scaltro maneggione dalle scarpe scompagnate, affinché si adoperi per ritrovare il marito, in nome di un vecchio debito che questi deve allo scomparso. Durante il suo avventuroso viaggio nelle viscere di Napoli, Cannavacciuolo avrà modo di scoprire tanti segreti sull'elusivo Picone, che forse non era chi diceva di essere, il cui gesto disperato era probabilmente una ingegnosa messa in scena e il cui solo nome apre tantissime porte nel sottobosco dell'illegalità, facendo piovere soldi facili nelle mani dell'esterrefatto "investigatore" traffichino. Cercando subito di approfittarsi della situazione, l'uomo si insedia a casa di Luciella con la speranza di prendere il posto di Picone. Bizzarra commedia grottesca dedicata alla "napoletanità" più che alla città di Napoli, che mescola abilmente farsa di costume, giallo paradossale, ironia surreale, umorismo nero, folclorismo eccentrico e critica sociale, con lampi di straniante fantasia che virano nell'affresco onirico sospeso tra parodia e indignazione. Affascinante nella struttura a inchiesta e brillante nella non risoluzione di un finale ambiguo come il film stesso, è una denuncia svagata del degrado di Napoli, un'apologia dell'arte di arrangiarsi e anche una parabola pirandelliana, leggibile a più livelli, sull'elusivo tema dell'identità. Chi siamo realmente ? ciò che siamo o una delle tante maschere che quotidianamente indossiamo a seconda del contesto ? e il fantomatico Picone è un personaggio reale o una leggenda metropolitana ? Molte domande e altrettante non-risposte vengono sollevate da questo film leggero e trasognato, un po' satira e un po' macchietta, ben diretto e ben recitato da un cast che annovera due mattatori come Giancarlo Giannini e Lina Sastri, ma anche altrettante validissime "seconde linee" tra cui citiamo Leo Gullotta, Aldo Giuffré, Carlo Croccolo, Marzio Honorato e la procace Clelia Rondinella. Limitato dalla sua prospettiva partenopea in odore di campanilismo autoreferenziale da parte di un autore sardo innamorato di Napoli, è un piccolo cult tragicomico degli anni '80, solitamente sottovalutato dai critici e dallo stesso pubblico campano che non ne ha saputo apprezzare la sottile dimensione kafkiana che viaggia sul filo di uno stravagante paradosso. Belle e calzanti le musiche di Tullio De Piscopo.

La frase: "Che cos'è l'amianto? L'amianto è quella cosa che, quando ci va il fuoco vicino, invece di bruciare, va in culo a me."

Voto:
voto: 3,5/5

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