mercoledì 26 luglio 2017

J. Edgar (J. Edgar, 2011) di Clint Eastwood

Vita pubblica e privata di J. Edgar Hoover, il primo e più duraturo capo dell'FBI, da lui opportunamente riorganizzata fino ad assumere l'assetto e l'efficienza che oggi conosciamo. Uomo complesso, carismatico, ambiguo, controverso, spigoloso, dal grande fiuto investigativo e dalla visionaria capacità manageriale, fu alla guida della polizia federale per oltre 50 anni e sotto ben 8 presidenti diversi, diventando una delle figure più potenti e temute d'America. E' risaputo che gli stessi presidenti ne avessero timore per il lungo dossier di informazioni segrete che il nostro custodiva gelosamente e che riguardavano praticamente tutte le persone influenti della vita pubblica statunitense. Questo ambizioso progetto di Clint Eastwood, una biografia su un personaggio così famoso e ingombrante per raccontare mezzo secolo di fatti e misfatti della storia americana, si è autodefinito nei suoi risultati già dalla cruciale scelta dell'attore protagonista. Chi sarebbe stato l'interprete adatto per una personalità così enorme ? Difficile dirlo ma, per fortuna, il nostro lavoro non è quello di regista. Eastwood ha scelto Leonardo DiCaprio, star hollywoodiana famosissima e attore di indubbio talento, ma con questa decisione ha già deciso i destini il film. Col senno di poi appare evidente che DiCaprio (seppur bravissimo nel regalarci il "suo" Hoover, tanto tronfio e sicuro nelle apparizioni pubbliche quanto pieno di ombre e di tormenti nella sfera privata) non sia stata la scelta più appropriata per mille motivi. Il suo volto è troppo riconoscibile, troppo bello, troppo "pulito" e troppo androgino per impersonare credibilmente Hoover. Per non parlare poi dell'abnorme trucco prostetico utilizzato per invecchiarlo in quasi metà film e che produce un effetto a metà strada tra lo straniante e il ridicolo. Se poi ci aggiungiamo che voler raccontare 50 anni di storia pubblica e privata in 137 minuti è un'impresa al di là dei limiti umani, anche per un regista straordinario come Eastwood, il quadro è praticamente completo. Non poteva che uscirne un film squilibrato, sghembo, altalenante, a tratti superficiale e frettoloso. Ma un regista come Eastwood, che da tempo si è meritato la franchigia degli Autori con la "A" maiuscola, ha ormai l'età, il prestigio e la saggezza per prendersi le sue libertà artistiche al di là delle opinioni di critica e pubblico o della tirannia del box office. Difetti a parte il film ha anche molti pregi: la bella fotografia autunnale, la consueta classicità del taglio narrativo, le notevoli interpretazioni di tutto il cast (Armie Hammer, Naomi Watts, Josh Lucas e Lea Thompson, oltre al già citato DiCaprio), le atmosfere decadenti e le musiche ovattate scritte dal regista stesso. Le sequenze migliori, che valgono ampiamente il prezzo del biglietto, sono tutte quelle relative alla vita privata di Hoover, in cui sia Eastwood che DiCaprio offrono il meglio del rispettivo talento: dal rapporto castrante con la severa madre Anne Marie alla rassicurante relazione platonica con la fedele segretaria Helen, fino al segreto amore omosessuale per il suo collaboratore Clyde Tolson, di cui si è sempre chiacchierato dietro le quinte. In tutte queste scene emerge prepotente il grande cinema dell'autore, la sua capacità di dirigere gli attori in modo magistrale, la sua sottile analisi psicologica, il suo fine tratteggio dei personaggi in chiaro scuro e l'utilizzo dosato delle emozioni che esplodono ad effetto ritardato (e spesso anche prolungato). Avrebbero meritato un approfondimento maggiore l'ossessione di Hoover di collezionare i segreti di tutti (perchè, come da citazione, "l'informazione è potere") e la connessione psicologica tra la sua intima e inconfessata fragilità (il rapporto sottomesso con la madre, le tendenze femminili, l'omosessualità nascosta) e l'aspetto forte e vigoroso che riservava al pubblico e che si addice ad un capo di polizia. Ma, probabilmente, un'altra ora di pellicola non sarebbe bastata.

Voto:
voto: 3/5

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