lunedì 31 maggio 2021

L'ultima tempesta (Prospero's Books, 1991) di Peter Greenaway

Dall'opera teatrale in 5 atti "La tempesta" di William Shakespeare. Il vecchio Prospero, spodestato dal crudele fratello Antonio, Duca di Milano, viene confinato su un'isola insieme alla figlia Miranda e all'orrida creatura Calibano, figlia illegittima della strega Sicorax. Prospero si dedica alla magia oscura e porta con sè 24 libri contenenti tutto il sapere umano. L'uomo scatena una tempesta che fa naufragare la nave del Re di Napoli Alonso, che approda naufrago sull'isola insieme a suo figlio Ferdinando, ma entrambi cadono vittime di una malia del vecchio stregone. Intanto Calibano trama alle spalle dell'incantatore insieme a due marinai della ciurma di Re Alonso. Sperimentale dramma fantastico grottesco di Peter Greenaway che, manipolando con estro figurativo e stile barocco il testo shakespeariano, porta ai vertici estremi la sua poetica in questo complesso film corale allegorico che mette insieme un magniloquente compendio di arti visive (teatro, danza, musica, animazione, scultura, pittura, opera, canto, pantomima, grafica in alta definizione) per conferire una forma sfuggente e suggestiva ai libri di Prospero. Concettualmente diviso in quadri e ispirato all'arte pittorica di Tiziano Vecellio, è una metafora delirante di suoni, immagini, figure retoriche e simboli arcani, in cui tutto è suggerito più che recitato, in un'astratta sinfonia che celebra le illusioni umane e il senso del meraviglioso, alla ricerca effettistica dell'arte assoluta, mescolando l'atmosfera sacra del teatro classico all'utilizzo straniante di moderne tecnologie video per enfatizzare al massimo i colori (il sistema Paintbox sviluppato dalla Quantel). L'arcana lotta tra il bene e il male della mitologia pagana, la furia degli elementi naturali, la relazione tra potere e conoscenza, l'utopia dell'onniscienza, l'uso dell'occultismo soprannaturale come strumento di vendetta, vengono trasposti in un flusso forsennato di invenzioni visive, in cui la parola ridefinisce l'immagine e viceversa. Il fine ultimo di quest'opera tanto ricca quanto ermetica, è una meditazione sul concetto intimo di percezione: ovvero la relazione tra l'ambiente che osserviamo e la cornice (stile) che lo definisce, modificandone il senso e creando un processo di interiorizzazione artistica della "realtà". E' inevitabile che un'opera di questo tipo alimenti il sospetto di uno sterile esercizio stilistico autoreferenziale, ma il fascino e la fantasia superiore dell'operazione sono indiscutibili, così come, conoscendo la carriera del regista, è innegabile che questa pellicola costituisca un punto di arrivo inevitabile, coerente e definitivo della sua ricerca estetica. E' un film difficile ma sottilmente seducente, adatto ad un pubblico colto amante del teatro, di Shakespeare o di un cinema weird,  una piccola sfida intellettuale e sensoriale che si gioca al di fuori degli schemi abituali della fruizione cinematografica.

Voto:
voto: 4/5

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