lunedì 31 maggio 2021

I racconti del cuscino (The Pillow Book, 1996) di Peter Greenaway

Kyoto, anni '70. La giovane Nagiko viene iniziata dal padre scrittore (succube di un editore dispotico e licenzioso) all'arte della scrittura sul corpo. Una volta maggiorenne è ossessionata da questo tipo di arte e dall'antico libro del XI secolo "I racconti del cuscino", in cui si descrive la storia di una cortigiana che compilava minuziosamente un diario personale segreto. Decide di lasciare il marito che è stata costretta a sposare senza amore e si trasferisce a Hong Kong alla ricerca di amanti disposti a scrivere sul suo corpo. Si innamora di Jerome, un traduttore inglese che la convince a invertire il processo: sarà lui a fare da "carta" e lei da scrittrice. Ma il passato torna a bussare alla sua porta. Nella tradizione giapponese i così detti "libri del guanciale" erano un genere di letteratura erotica che raccontavano le esperienze intime delle geishe, che venivano solitamente utilizzati come manuali di vita sessuale e nascosti nel guanciale di legno di moda ai tempi. Questo melodramma sensuale di Peter Greenaway (liberamente ispirato al racconto "Pillow Book" di Sei Shonagon) è un film labirinto di atmosfere conturbanti e suggestioni sensoriali, una metafora astratta che mette in relazione il sesso e la letteratura, dove il corpo diventa libro e la scrittura un'estensione psicologica dell'atto erotico. E' un film coerente con l'estetica di Greenaway, forsennato sperimentatore e feticista dell'immagine, che nel suo cinema colto e provocatorio diventa quadro teorico, visione sopraffina, pennellata concettuale, la cura dei dolori del mondo attraverso il conforto sublime dell'arte. Era quasi inevitabile un suo "incontro" con la cultura giapponese, in cui l'elemento basilare del linguaggio (l'ideogramma) è già di per sè una forma di arte visiva, che ha affascinato numerosi artisti e intellettuali occidentali nel corso degli anni. In quest'opera raffinata e avvolgente, in cui spiccano le interpretazioni della splendida Vivian Wu e di Ewan McGregor, lo stile dell'autore indulge un po' troppo nel manierismo e nella dilatazione dei tempi, risultando sempre potente ma meno inventivo del solito nella resa narrativa. E se è eccitante perdersi nei meandri nascosti di questa pellicola e venirne ammaliati, il tutto diventa altresì estenuante e talvolta repulsivo, in bilico tra piacere e dolore.

Voto:
voto: 3,5/5

Nessun commento:

Posta un commento