Uxbal è un uomo disperato che vive ai margini della società in un malfamato quartiere periferico di Barcellona, dove si barcamena sfruttando gli immigrati al soldo della mafia cinese e utilizzando le sue doti di sensitivo per mettere in contatto le persone con le anime dei propri cari estinti. Padre attento e amorevole di due piccoli figli, Mateo e Ana, si occupa quotidianamente di loro ed è in costante conflitto con la sua ex moglie, Marambra, una donna disturbata che ha lasciato la famiglia per condurre una vita immorale. Quando scopre di avere una malattia terminale che gli lascia pochi mesi di vita, Uxbal entra in crisi profonda, preoccupato per il futuro da lasciare ai suoi figli. Questo angoscioso dramma esistenziale di Iñárritu è il suo primo film scritto senza il fidato sceneggiatore Guillermo Arriaga, e il suo primo film dalla trama lineare, privo dei funambolismi stilistici narrativi delle opere precedenti, ma uniforme nella sua unità di luogo e di azione. E' una tragica parabola di morte e sulla morte, con personaggi ruvidi, potenti e carichi di contraddizioni, a cominciare dal protagonista che porta sulle sue spalle l'intero peso del film e che viene magnificamente interpretato da un intenso e allucinato Javier Bardem, in una delle migliori performance della sua carriera. Ma la storia si avvale anche di due notevoli personaggi femminili: la bipolare Marambra (Maricel Álvarez) e la senegalese Igé (Diaryatou Daff). E' una storia di anime perse in un mondo crudele e degradato, una giungla urbana dove la lotta per la sopravvivenza è cinica e spietata, un infernale ghetto underground che, per la prima volta, ci mostra sul grande schermo un'immagine inedita della ridente Barcellona. L'ambiguità del personaggio di Uxbal, pervaso da conflitti interiori, profonde incoerenze e diverse facce, è l'emblema di un film sottilmente problematico nel suo cupo affresco antropologico, ma anche di una sgradevole tendenza all'eccesso, alla ridondanza drammatica, al ricatto emotivo nei confronti dello spettatore, che si evince dall'aggravio di sequenze tragiche e dall'accanimento di scene emotivamente forti, una programmatica esasperazione che diventa morbosità del dolore. La regia è, come sempre, elegante e impeccabile, ma una decisa limatura espressiva nelle scene madri (in favore di una maggiore sobrietà) avrebbe giovato di gran lunga. Anche il finale, che non nega una luce di speranza, appare decisamente troppo didascalico. Il film ha avuto due nomination agli Oscar: miglior film straniero e miglior attore protagonista per lo straordinario Javier Bardem. Non portò a casa nessuna statuetta, ma Bardem avrebbe meritato "ai punti" il premio (vinto invece dal più appariscente Colin Firth per Il discorso del re).
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