Roma, estate 1976, anni di piombo. Il magistrato Alfonso Le Rose è vittima di un attentato terroristico sotto la sua abitazione, nel quale lui rimane ferito, mentre perdono la vita un poliziotto della scorta e un membro del commando di assalitori. Il piccolo Valerio, figlio del funzionario di dieci anni, assiste alla scena dalla finestra della sua camera e rimane colpito dal volto morente del terrorista ucciso, con cui avviene uno scambio di sguardi. Da quel momento la sua vita cambia e iniziano i giorni della paura e dell'apprensione, mentre i genitori cercano invano di celargli la pericolosità della situazione, in un momento storico così tragico del nostro paese. Come reazione il bambino si rifugia nel suo mondo immaginario e nell'amicizia con Christian, un ragazzo appena conosciuto e poco più grande di lui, che gli appare divertente, scanzonato e molto sicuro nel modo di affrontare le cose. Quando la famiglia si trasferisce al mare in Calabria, Valerio scopre, con gioia e stupore, che Christian lo ha seguito anche lì e inizia a frequentarlo di nascosto, dandogli ospitalità in un capanno. Ciò che il bambino non può immaginare è chi sia realmente il suo amato compagno di giochi. Dramma di cronaca autobiografico ispirato ai reali ricordi del regista (è lui stesso il piccolo Valerio del film), che durante l'infanzia vide con i propri occhi suo padre, vicequestore a Roma, cadere sotto i colpi di un commando dei NAP (Nuclei Armati Proletari), in un attentato a cui sopravvisse ma che costò la vita a due persone. La pellicola asseconda lo sguardo innocente, spaventato, curioso e fantasioso del piccolo protagonista, attraverso il quale l'autore cerca di mettere in immagini le sue memorie d'epoca e le sue sensazioni di bambino di allora. Il filtro della prospettiva infantile dona all'opera una sospensione simbolica e una serie di suggestioni oniriche, che risultano particolarmente efficaci nel rapporto idealizzato tra Valerio e suo padre, che ai suoi occhi appare come un eroe, un riferimento, ma anche una figura distante perchè costantemente impegnato in affari "da grandi". E' invece meno convincente la sottotrama relativa all'amicizia con Christian (per il quale fino a metà film non è dato capire se si tratta di un bambino reale o di una proiezione della mente di Valerio), la cui risoluzione finale (anticipata dal breve prologo) lascia intendere che il regista si è finalmente pacificato rispetto al suo trauma infantile. Ma se l'intento personale di autoanalisi catartica può dirsi compiuto, non si può dire lo stesso di quello artistico di realizzare un affresco fanta-realistico degli anni di piombo, dando voce alle piccole vittime indirette di quei tempi cupi. Infatti il film soffre, in tal senso, di uno squilibrio emozionale tra le scene in cui Valerio è accompagnato dal sempre bravo Pierfrancesco Favino, e quelle in cui l'attore romano è assente. Per questa sua ennesima convincente interpretazione, Favino, abilissimo nel dare corpo e voce ad un uomo solido, premuroso e concreto, un capo famiglia "d'altri tempi", è stato premiato con la Coppa Volpi al Festival del Cinema di Venezia.
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