sabato 29 maggio 2021

L'uomo del treno (L'homme du train, 2002) di Patrice Leconte

Milan è un avventuriero che rapina le banche, Manesquier è un professore di letteratura in pensione. Il primo è un fuorilegge randagio, il secondo un uomo colto, saggio e posato. I due s'incontrano per caso nella stazione di un piccolo paese di provincia e danno inizio ad una strana amicizia. Manesquier ospita Milan nella sua casa e ciascuno si rende conto di desiderare la vita dell'altro, che rappresenta l'ideale di ciò che avrebbe voluto per sè ma che non è riuscito a realizzare. Il 21-esimo lungometraggio di Patrice Leconte è un falso polar, sotto la cui patina si nasconde l'anima di un dramma psicologico esistenziale, con il tocco lieve di una commedia sull'identità. Il tema centrale è quello del fallimento di una vita (ma, probabilmente, di ogni vita), in un gioco di incroci, di svolte, di ritardi, di occasioni perdute e di desideri di fuga. Come dice Manesquier in un emblematico dialogo: "ci sono due tipi di uomini: quelli che i treni li prendono e quelli che i treni li guardano passare". Ovvero chi partecipa attivamente al gioco della vita e chi invece guarda gli altri giocare. La strana coppia di protagonisti, mirabilmente interpretati da Jean Rochefort e Johnny Hallyday, è alla base dell'allegorica doppia osmosi di personalità che intercorre tra essi, un processo surreale che simboleggia l'insoddisfazione congenita della natura umana, con lo stridente contrasto tra ciò che siamo e ciò che la vita ci ha costretto ad essere. E' un film affascinante di maschere tristi e di anime perse, caratterizzato da una forma sperimentale, una messa in scena teatrale e dei magnifici dialoghi, secchi e brillanti. Peccato che nel finale, ridondante ed eccessivamente effettistico, il suggestivo meccanismo messo in piedi dall'autore nella prima parte tenda a diradarsi in un artificioso coup de theatre, più incline al manierismo che alla compiutezza narrativa.

Voto:
voto: 3,5/5

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