lunedì 17 maggio 2021

Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (Loong Boonmee raleuk chat, 2010) di Apichatpong Weerasethakul

Boonmee è un proprietario terriero thailandese a cui vengono dati pochi giorni di vita a causa di una grave malattia renale. L'uomo decide di tornare nella sua casa di campagna per prepararsi al trapasso e trovare la pace interiore dopo i peccati commessi durante il suo passato nell'esercito. Mentre viene assistito dai suoi familiari, Boonmee riceve la visita del fantasma di sua moglie morta da molto tempo e di suo figlio scomparso da 15 anni, che adesso ha le sembianze di una creatura scimmiesca dagli occhi infuocati, dopo aver vissuto a lungo nella giungla tropicale. Sentendo ormai la morte imminente Boonmee chiede al fantasma della consorte di accompagnarlo a una grotta nella foresta, dove rivede, in delle visioni, tutte le sue vite passate sotto forma di altri esseri viventi. Questo dramma mistico, dilatato nei tempi, rarefatto nelle atmosfere e intriso di un magnetico simbolismo spirituale, che evoca antiche leggende e tematiche religiose orientali, è un'opera sfuggente, astratta e languida sulla morte, sul senso estremo della vita e sulla reincarnazione (un concetto comune in molte correnti del buddhismo o dell'induismo). Al di là delle personali credenze e della propria idea (o assenza) di fede nel trascendente, anche nelle filosofie laiche occidentali viene generalmente riconosciuta la teoria secondo cui il momento della morte sia quello di maggior senso della vita di un uomo, quello in cui si rivede scorrere nella mente una sorta di "montaggio" fulmineo di tutti i momenti più significativi, sia in termini di passato che di occasioni perdute e vite alternative possibili. Questo film surreale, di grande fascino visivo e di ammaliante evocazione allegorica, può dunque esser letto anche in questo modo da uno spettatore occidentale che intenda necessariamente contestualizzarne il contesto accordandolo alla propria cultura e sensibilità. Perchè, per apprezzarlo pienamente, è importante raggiungere una sintonia con il suo compassato racconto per immagini e abbandonarsi al suo flusso, esattamente come fa lo zio Boonmee durante la magica scena della passeggiata nella foresta, immerso tra suoni, apparizioni e sensazioni, in balia di un panismo psicosomatico di ambizione mitologica. Sospeso tra la favola metaforica, l'elegia della memoria e la trasfigurazione fantastica del quotidiano, questo film strano e distante ha vinto la Palma d'Oro al 63-esimo Festival di Cannes (la prima volta per una produzione del sud est asiatico) ed ha avuto ottimi riscontri da parte della critica mondiale. Il pubblico medio sarà probabilmente respinto dalla sua calma imperturbabile e dalla sua astrazione figurativa, che richiede impegno, attenzione e voglia di confrontarsi con un cinema profondamente diverso dal nostro. Ma trattasi di cinema indubbiamente artistico e di spessore, anche se la sua radicale cerimonialità espressiva risulti a volte un po' inamidata, così come la scelta di introdurre qua e là degli squarci di ironia grottesca appaia maldestra nella resa e greve nello stile.
 
Voto:
voto: 3,5/5

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