Nella Napoli contemporanea Antonio Barracano è un "uomo d'onore" che si è lasciato alle spalle un passato difficile. Antonio Barracano è il "Sindaco" del rione Sanità, anche se adesso vive in una villa isolata alle falde del Vesuvio. La gente del quartiere lo rispetta, lo venera, lo teme e si rivolge a lui in caso di bisogno. Perchè il "Sindaco" aiuta le persone umili e bisognose risolvendogli i problemi. Sfrutta le sue conoscenze, il suo carisma, la sua intelligenza vivace e applica la sua legge, al di fuori dello Stato ma non contro lo Stato. Quando gli si presenta Rafiluccio Santaniello, figlio di un fornaio che intende uccidere il padre perchè lo ha diseredato, il "Sindaco" riconosce nel giovane la sua stessa rabbia giovanile e decide di intervenire personalmente per riconciliare le due parti avverse. Al suo nono lungometraggio Mario Martone prosegue nella sua opera di "rilettura", dedicandosi stavolta ad un classico della commedia teatrale: "Il sindaco del Rione Sanità" (1960) di Eduardo De Filippo. Ma stavolta non si tratta di una vera "rilettura", ma di un ricalco modernizzato: nei tempi, nelle ambientazioni e nell'aspetto, ma non nella sostanza o nello spirito, perchè il film è fedelissimo al testo di Eduardo, in molti casi in maniera addirittura pedissequa. L'autore sposta l'azione nella Napoli moderna e vesuviana, mantiene intatti nomi, dialoghi e situazioni, ma attualizza il look dei personaggi all'estetica di oggi. Così il "Sindaco", che nella versione eduardiana era un sessantenne saggio e posato, adesso diventa un trentenne più fisico, dinamico e minaccioso nel sembiante. Ovviamente in questo modo è quasi inevitabile l'effetto "Gomorra" sul pubblico di massa e l'immediata associazione del "Sindaco" alla camorra (un rischio che lo stesso Eduardo, ai tempi, aveva temuto e paventato). Ma così non è, e chi è caduto nella "trappola" probabilmente o non conosce la commedia originale o non ne ha compreso il senso metaforico di apologia di un antico modello di paternalismo (tipico di molte realtà popolari e poco istruite del meridione d'Italia). Un modello utopistico, nostalgico e oggi sicuramente ingenuo, fondato su valori e ideali che sono andati inesorabilmente perduti nel tempo. E un altro elemento tematico da non dimenticare è la condanna implicita dell'ignoranza che rende l'essere umano schiavo, debole, manipolabile e alla mercé di qualunque sistema di potere (piccolo o grande che sia). Il restyling estetico attuato dal regista costituisce, allo stesso modo, il punto di forza e di debolezza del film. Forza per il suo coraggio e per la capacità di tenere insieme antico e moderno senza infrangere lo spirito dell'originale. Debolezza perchè in questa operazione, che mira ad allargare la platea dell'opera, è inevitabile che qualcosa vada perduto nella "traduzione": vedi l'elevato rischio di semplificare il tutto nella solita faccenda di criminalità organizzata e, non di meno, la più spiccata localizzazione geo-antropologica rispetto al testo di Eduardo, che invece riusciva a rendersi più "universale". L'opera è comunque di livello sopraffino e recitata benissimo da tutti gli interpreti, tra cui citiamo Francesco Di Leva, Massimiliano Gallo e Roberto De Francesco. Il film è stato premiato al Festival di Venezia con il Premio Pasinetti.
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