lunedì 24 maggio 2021

Il prestanome (The Front, 1976) di Martin Ritt

Durante il Maccartismo, Howard Prince, anonimo cassiere di un bar con pochi soldi, pochi scrupoli e poco talento, accetta di fare da prestanome allo sceneggiatore Alfred Miller, che non può più firmare i suoi copioni essendo stato iscritto nella famigerata "lista nera" per presunte attività "anti-americane". In breve la voce si sparge e altri scrittori che lavorano per il cinema e hanno il medesimo problema si rivolgono a Prince, che diventa così ricco e famoso. Ma il sentimento per una ragazza che ha fondato un giornale di protesta contro la "crociata" repressiva di McCarthy e il suicidio di un famoso attore vittima dell'epurazione, fanno scattare qualcosa nella coscienza di Prince. Questa celebre commedia drammatica scritta da Walter Bernstein, diretta da Martin Ritt e interpretata da Woody Allen e Zero Mostel, è stato il primo film americano a parlare apertamente della "caccia alle streghe" scatenata dal Maccartismo, rivolgendo la sua attenzione all'ambito cinematografico, ovvero alla tristemente nota "lista nera di Hollywood" in cui venivano iscritti i così detti "sovversivi", persone del settore sospettate di simpatie comuniste, ovvero non gradite alla commissione pseudo-fascista messa in piedi dal senatore McCarthy per eliminare gli "indesiderati" che non si omologavano al pensiero politico imposto dal sistema. E' importante sottolineare come Bernstein, Ritt e Mostel furono personalmente coinvolti in quegli avvenimenti con proscrizioni, indagini e scrittura dei loro nomi nelle vergognose liste. Quindi già solo questo fatto basterebbe a capire quanto il film sia stato importante e sentito dagli autori, che sapevano con piena cognizione di causa di costa stavano parlando. La premessa deriva dalle polemiche che molti critici sollevarono all'uscita del film per aver utilizzato toni da commedia e due attori comici (tra l'altro molto famosi) per affrontare un tema così doloroso e delicato. Una polemica strumentale, perchè la pellicola è assolutamente seria e indignata (e non potrebbe essere altrimenti visti gli autori parte lesa del Maccartismo), ma non seriosa, astiosa o predicatoria. L'approccio scelto dal regista è quello del dramma ironico, amareggiato più che arrabbiato, una parabola morale dignitosa e paradossale nella sua forma stridente tra la forma leggera ed un animo intrinsecamente risentito. Ma è proprio da questo contrasto che nasce la fertile originalità del film, che riesce a combinare egregiamente la ferma denuncia con gli stilemi tipici della commedia satirica, mettendo nel mirino non solo i censori del potere, ma anche i numerosi delatori che, per ottenere un occhio di riguardo e salvare la propria carriera, denunciavano segretamente i colleghi per le loro idee "pericolose". In tal senso la pellicola assume un carattere più universale, non limitato al solo caso del Maccartismo vs. Hollywood, ma una difesa della libertà di pensiero e del diritto al dissenso di cui nessun sistema oligarchico può arrogarsi la pretesa di controllo e di manipolazione. Woody Allen, in una delle sue rare apparizioni come attore non diretto da sè stesso, si mette totalmente al servizio del progetto ed è brillante nella caratterizzazione di un viscido omino mediocre che sfrutta le tragedie altrui per fare carriera, salvo poi redimersi in una fiammata di orgoglio personale. Il comico Zero Mostel, che morì l'anno dopo l'uscita del film, è invece commovente nell'ultima interpretazione della sua filmografia, un ruolo emblematico ed un intenso testamento spirituale, quasi una piccola "rivincita" artistica delle ingiustizie subite in quel periodo di oscurantismo.
 
Voto:
voto: 4/5

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