Film a tesi che ribadisce, ribaltandolo, l'occhio per occhio alla base
del giustizialismo americano attraverso una semplice equazione logica:
se terribile e disumana fu la colpa, altrettanto lo sarà il castigo
attraverso un omicidio legalizzato. L'attore Tim Robbins dirige con mano
sicura questo dramma carcerario che scava nel profondo delle coscienze,
attraverso il rapporto umano tra una suora (Susan Sarandon), che
assiste spiritualmente un condannato a morte (Sean Penn) negli ultimi
giorni del suo tragico percorso. La repulsione e la diffidenza iniziale
divengono comprensione e pietà di fronte all'orrore ineluttabile del
castigo. Il finale, girato in modo documentaristico, è il culmine del
crescendo emotivo ed intende provocare lo shock nello spettatore:
obiettivo raggiunto attraverso la minuziosa esibizione del barbaro
rituale di cui nulla ci viene risparmiato. Dal punto di vista recitativo
è un film impeccabile, i due protagonisti sono perfetti e la Sarandon
fu premiata con l'Oscar. Però il pur nobile intento didascalico,
perseguito con cinica ferocia visiva, penalizza non poco la libertà
espressiva e quindi il valore artistico dell'opera. Da mostrare, quasi obbligatoriamente, ai
sostenitori incalliti della pena capitale.
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