Brillante esordio registico di Liev Schreiber che mette in scena un
romanzo autobiografico di Jonathan Safran Foer che racconta di un viaggio,
geografico e spirituale, da questi compiuto per ricostruire la memoria
storica di un villaggio ebreo in Ucraina, spazzato via dalla furia
nazista, in cui il nonno sopravvisse prima di emigrare in America.
Schreiber riesce a fare un film sfavillante, garbato ed anche
incredibilmente colto per la sua continua oscillazione tra stili e
registri narrativi diversi: tragedia storica, ironia intelligente, con
dei notevoli tocchi di surrealismo. Il cuore intimo dell'opera risiede nel valore solenne della memoria che ci "parla" attraverso oggetti, luoghi e ricordi di coloro che non sono più, per insegnarci a vivere meglio il presente. E' esattamente a questo che allude l'illuminazione (ovviamente di natura esistenziale) citata dal titolo. Bravi gli attori, tra cui Elijah
Wood trapiantato dalla Contea tolkieniana ai luminosi campi dell'Ucraina, a recitare
con l'espressività del volto più che con le parole. Il film di
Schreiber è una piccola, originale perla ingiustamente passata in
sordina.
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