Il rozzo Rocky Balboa, pugile dilettante di origine italiana che vive negli scalcinati sobborghi di Philadelphia e che arrotonda il magro salario facendo l'esattore del "pizzo" per un gangster del suo quartiere, ha l'occasione della vita quando il campione del mondo dei pesi massimi in carica, il nero Apollo Creed, decide di concedere una chance a un signor nessuno per sostituire il suo avversario infortunato. L'incontro sembra senza speranza, ma Rocky ha grinta, cuore da vendere e la rabbia disperata degli emarginati che inseguono il Sogno Americano. Uno dei film più famosi e di maggior successo degli anni '70, che ha lanciato l'allora sconosciuto Sylvester Stallone, qui anche
sceneggiatore, prepotentemente nell'olimpo dello star system mondiale.
Più che un film sportivo è un dramma autunnale sull'emarginazione delle
periferie delle metropoli d'oltre oceano che ben presto svela, con
enfasi ma anche con verace efficacia, il suo intento retorico di
celebrare il mito dell'American Dream, con l'ingenua e trasognata
possanza che fu di Frank Capra. Al di là di questo il film avvince, pur
nella sua estrema improbabilità, a causa dei personaggi particolarmente
riusciti, in bilico tra malinconia e tenerezza: Rocky, Adriana, Paulie e il granitico manager dal cuore d'oro Mickey
Goldmill. Molte sequenze sono entrate subito nell'immaginario collettivo
anche per merito delle belle musiche di Bill Conti, particolarmente ispirate e
divenute presto il simbolo del successo conquistato lottando fino allo
stremo. Il clamoroso boom mondiale della pellicola ha originato
un'interminabile lista di seguiti, quasi tutti mediocri e patetici, che
hanno portato, insieme all'alter ego Rambo, alla massima
esasperazione la "mitologia" del super macho a stelle e strisce di
matrice reaganiana. Vinse tre premi Oscar (miglior film, regia e montaggio) e ben quattro attori del cast ebbero la nomination (Sylvester Stallone, Talia Shire, Burt Young e Burgess Meredith).
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