lunedì 26 giugno 2017

Il bandito delle 11 (Pierrot le fou, 1965) di Jean-Luc Godard

Ferdinand, uomo benestante sposato con figli ma stanco della famiglia e della sua vita borghese sempre uguale, scappa con la bella e torbida Marianne, che fa parte di una banda di rapinatori, su una spiaggia solitaria della Costa Azzurra. L’insolita coppia vive una vita semplice e selvaggia, a base di amore, natura, lettura, caccia e pesca. Ma la donna presto si stanca di tanta tranquillità e chiede di tornare al brivido pericoloso della sua vita precedente, coinvolgendo Ferdinand in un colpo pericoloso. Vedendo in azione la sua donna nel suo vero mondo, Ferdinand capisce che non potrà mai essere realmente sua e che Marianne è innamorata di un altro. Formidabile dramma interiore anti-narrativo travestito da poliziesco e sperimentale capolavoro disperatamente romantico che chiude idealmente la prima fase della luminosa carriera di Godard, genio assoluto e scomodo del cinema mondiale. Sotto la pretestuosa patina di azione violenta si nasconde un grido di dolore, un inno alla ribellione che esprime con veemenza visionaria e densità espressiva l’abissale senso di disagio interiore di una generazione che si sente aliena, disorientata, incompresa dai vecchi modelli sociali ormai incapaci di leggere e di capire le nuove ideologie e le pulsioni critiche che presto esploderanno nella rivolta del ’68. Manifesto poetico generazionale che disturba e scuote nel profondo l’animo dello spettatore, è una summa del pensiero dell’autore dei primi anni ’60, un apologo dall’anima anarchica, dal tono sovversivo e dall’estetica ammaliante nei suoi colori accesi, che testimoniano un’anima infuocata, spinta all’eccesso da un viscerale senso di solitudine. In questo capolavoro di pop art, provocatorio caleidoscopio in cerca di nuove forme espressive capaci di dar voce allo smarrimento giovanile e ricca Babilonia di citazioni eterogenee, è, ancora una volta, il montaggio l’arma più affilata del regista per dar forma alla sua arte tempestosa che abbatte, impietosamente, il velo del privato per metterlo a nudo e renderlo pubblico in tutta la sua isterica debolezza. Straordinaria fotografia di Raoul Coutard e grandioso il cast con Jean-Paul Belmondo, Anna Karina e Graziella Galvani. Almeno due le sequenze memorabili: la Ford Galaxy che finisce in mare con i due amanti a bordo e la festa in cui Ferdinand capisce di detestare la sua vita di finto benessere e si sentono gli invitati che parlano utilizzando slogan della pubblicità. Dal più rivoluzionario cineasta francese un altro grande saggio di cinema del malessere inconscio.

Voto:
voto: 5/5

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