giovedì 22 giugno 2017

Pi greco - Il teorema del delirio (Pi, 1998) di Darren Aronofsky

Maximilian Cohen è un genio matematico introverso e solitario, soggetto a frequenti emicranie. Fermamente convinto che tutto sia riconducibile e spiegabile in termini numerici o attraverso espressioni matematiche, il giovane abita da solo in un piccolo appartamento di Manhattan insieme ad un super computer (chiamato “Euclide”) da lui stesso costruito e trascorre le sue giornate alla ricerca della formula perfetta capace di spiegare il mistero della vita, la natura di Dio o di prevedere l’andamento economico delle borse mondiali. Braccato senza tregua dai “lupi” del mondo esterno (broker finanziari, affaristi rampanti, cabalisti fanatici e persino una setta di ebrei ortodossi) il nostro giunge finalmente a una “magica” sequenza numerica in grado di spiegare tutto, ma dovrà scontrarsi con la rapace invadenza di tutti quelli che cercano di impadronirsi della sua scoperta per interessi personali. Complesso e affascinante dramma di fantascienza, scritto dal regista insieme a Sean Gullette (che è anche straordinario attore protagonista), sospeso tra astrazioni filosofiche, misticismo concettuale, utopie pseudo-scientifiche, atmosfere stranianti. Visivamente è un incubo claustrofobico anti-narrativo che preferisce il racconto per immagini, mettendo in scena l’eterno contrasto tra la “ragion pura” e la “ragion pratica”, tra l’infinito teorico e il limite concreto, tra nirvana e mondo reale. Girato in un bianco e nero fortemente contrastato e con una inquieta camera a mano, è un esperimento d’essai che, tra Polanski, Tsukamoto e Philip K.Dick, punta al trascendente per poi precipitare nell’abisso della miseria umana. Capolavoro ostico o vacuo esercizio di stile ? Nè l’uno, nè l’altro: semplicemente un solido film autoriale che cerca, non senza manierismo, una prospettiva originale in una realtà cinematografica piatta e inflazionata. Classica pellicola “ammazza pubblico”, ebbe ottimi riscontri di critica e vinse l’ambito premio alla regia al Sundance Film Festival, rassegna del cinema indipendente statunitense che, di solito, è una buona garanzia di qualità (o di presuntuoso anticonformismo). Buon esordio registico di Aronofsky, sicuramente più denso, ambizioso, compatto, audace e intrigante delle sue opere successive.

Voto:
voto: 4/5

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