venerdì 23 giugno 2017

Papillon (Papillon, 1973) di Franklin J. Schaffner

Henri Charriere, detto “Papillon”, è un francese condannato per omicidio ai lavori forzati nel carcere-inferno dell’Isola del Diavolo, nella remota Guyana. L’uomo, dal carattere indomito e dalla fibra forte, pensa unicamente alla fuga (da tutti ritenuta impossibile) e stringe amicizia con il falsario Louis Dega. Costretti a vivere e a lavorare in condizioni disumane, tra paludi melmose e foreste selvagge, in un clima di insopportabile calura e umidità, esposti alle malattie e alla crudeltà dei carcerieri, i due uomini stringono un intenso legame di amicizia, reso più solido dalla comune disperazione. “Papillon” non si perde d’animo e tenta più volte di evadere ma viene puntualmente ripreso a causa del territorio impervio. Ridotto a un relitto umano dopo un lungo periodo di isolamento punitivo, il nostro non sembra spezzarsi e continua a rimanere in vita con il miraggio della fuga. Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Henri Charrière, il film di Schaffner è un cupo dramma carcerario sotto forma di epopea avventurosa che celebra il valore della libertà e la forza indomabile dello spirito umano. Molto effettistico nelle sequenze tragiche, ideologicamente esasperato nel mostrare un unico punto di vista (ignorando del tutto la legittimità della punizione per chi ha sbagliato), violento e sgradevole con programmaticità nel perseguimento del suo obiettivo, è uno spettacolare film a tesi, indubbiamente avvincente, ma anche concettualmente fazioso nel suo procedere a testa bassa contro il sistema giudiziario. Ebbe un grande successo di pubblico ma suscitò aspre polemiche in merito alla veridicità degli eventi raccontati, con accuse (forse esagerate) di apologia dei criminali e incitamento alla ribellione eversiva. Sono invece del tutto fuori discussione l’aspra bellezza degli scenari naturali, la grande interpretazione degli attori protagonisti, Steve McQueen e Dustin Hoffman (memorabile il primo) e la bellezza delle musiche di Jerry Goldsmith. Vanta tantissimi ammiratori ma resta un film sopravvalutato per la tronfia capziosità unilaterale del suo messaggio.

La frase:Maledetti bastardi... sono ancora vivo!

Voto:
voto: 3/5

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