lunedì 26 giugno 2017

Sacrificio (Offret, 1986) di Andrej Tarkovskij

Mentre l'anziano intellettuale Alexander festeggia il suo compleanno con la famiglia nella sua casa su un'isola svedese, la televisione annuncia l’arrivo imminente di una terribile catastrofe apocalittica. Poco dopo la notizia iniziano eventi sconvolgenti, scosse di terremoto, segnali minacciosi, aerei militari che solcano i cieli in continuazione. Alexander, terrorizzato, recita le parole del “Padre Nostro” e lo invoca offrendogli in estremo sacrificio tutto quello che ha pur che tutto ritorni come prima. Posseduto da una mistica follia l’uomo brucia la sua casa ed è pronto ad offrire la sua vita pur di salvare i suoi cari. Ultimo film e ultimo capolavoro di Tarkovskij, regista poeta morto poco dopo la fine delle riprese. E’ una preghiera accorata che si fa metafora della perdita di spiritualità della società moderna e su come il sacrificio più estremo (inteso anche come disconoscimento di sè o come uccisione edipica del padre) sia l’unica forma possibile per tentarne il recupero. E’ anche un cupo apologo sul benessere materiale e sul consumismo, una denuncia sulla responsabilità soggettiva dell’uomo nella storia, un racconto mistico sulla paura della guerra nucleare, un elogio metafisico del silenzio, un limpido trattato drammatico sulla violenza insita nella natura umana, una riflessione astratta sull’essenza dell’arte e sul ruolo dell’artista nella realtà politica. Più semplice e lineare rispetto alle altre opere dell’autore, ha la forza solenne di un’opera lirica e l’austerità di un trattato morale, in cui gli elementi ermetici non sono rappresentati dalla narrazione ma dai personaggi (alcuni di arcana enigmaticità) che sembrano quasi simboleggiare delle misteriose chiavi di accesso alternative a differenti interpretazioni della pellicola. E’ anche un film profondamente religioso e spirituale (come non citare la splendida immagine di apertura con “L’adorazione dei Magi” di Leonardo Da Vinci), pervaso da ascetico naturalismo (la figura pregnante dell’albero) e con un finale pacificato venato di sobrio ottimismo (a dimostrazione di una saggezza illuminata raggiunta dal regista poco prima di dire addio alla vita terrena). L’esplicita dedica di questo film testamento al figlio ed il magico epilogo allegorico sono un significativo atto di apertura e di speranza verso le future generazioni. E’ anche un’opera che stabilisce una suggestiva connessione simbolica e sintonia artistica, oltre che affinità personale, tra due dei massimi Maestri della “settima arte”: Andrei Tarkovskij e Ingmar Bergman. Infatti il direttore della fotografia della pellicola è il leggendario Sven Nykvist, mentre il magnifico attore protagonista è Erland Josephson, due insigni figure tipicamente bergmaniane. Premiato al Festival di Cannes con il Gran Premio della Giuria, questo estremo lascito del geniale regista sovietico è la perfetta chiosa filosofica del suo percorso metafisico, un viaggio concettuale basato sulla costante ricerca della conoscenza. Ricerca intesa come azione progressiva e proattiva verso un traguardo (forse irraggiungibile), piuttosto che come attesa inerte di una rivelazione.

Voto:
voto: 5/5

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