giovedì 29 giugno 2017

Le regole dell'attrazione (The Rules of Attraction, 2002) di Roger Avary

Il Camden College nel New England è frequentato da giovani benestanti e di buona famiglia ma dai comportamenti discutibili: Sean Bateman è sempre pieno di debiti, spaccia droga, è intimamente tormentato ed ha grande successo con le donne. Lauren Hynde si è mantenuta vergine per il ragazzo che ama, Victor, in giro per l'Europa per un viaggio a base di piaceri trasgressivi. Paul Denton, bisessuale, ha rotto con il suo compagno e ci prova con Sean, che a sua volta ha un debole per Lauren. Nell'attesa del ritorno di Victor, Lauren decide di flirtare con Sean. Così la bella gioventù del collage trascorre le giornate: poco studio e molte feste a base di sesso, droga e alcool. Adattamento cinematografico del romanzo omonimo dello scrittore "maledetto" Bret Easton Ellis, diretto da Roger Avary con un vertiginoso formalismo esasperato fatto di split-screen, frammentazioni che spezzano la linearità, oscillazioni narrative, riavvolgimenti della storia all'indietro o in avanti. Un formalismo non fine a se stesso ma che cerca di rendere visivamente il caos di una gioventù perduta, amorale, dissennata, viziosa, egoista ed edonista, dedita all'isterica ricerca di un piacere che conduce all'autodistruzione. Con sguardo impietoso ed una feroce ironia dissacrante che attenua le sequenze più crude, questo dramma giovanile che non si prende sul serio è ricco di momenti cult che gli hanno garantito un certo successo tra le nuove generazioni. Il suo dondolare tra lo sgradevole e il divertente è il segno di un cinismo registico degno di attenzione. Passato quasi inosservato nel nostro paese, ebbe parecchi guai con la censura americana (che sforbiciò diverse sequenze), si avvale di una bella colonna sonora e di un cast di "belli e dannati" (James Van Der Beek, Shannyn Sossamon, Kip Pardue, Jessica Biel e Kate Bosworth). Non era semplice adattare un romanzo come quello di Ellis, una sorta di patchwork narrativo fatto di ellissi e di lunghi monologhi in soggettiva, ma Avary ci è riuscito con una scrematura intelligente ed esteticamente accattivante che trova il suo tripudio tra il prologo grottesco, che già anticipa la conclusione degli eventi (che saranno poi dettagliati dopo il rewind temporale), e l'epilogo ambiguamente sospeso, ma indubbiamente amaro, che sancisce il fallimento di un modello di vita basato sul vuoto. Nel film viene citato Patrick Bateman, fratello di Sean, il serial killer protagonista di American Psycho.

La frase: "Nessuno conosce nessuno. Mai."

Voto:
voto: 3,5/5

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