mercoledì 21 giugno 2017

Interceptor (Mad Max, 1979) di George Miller

In un futuro medioevo post apocalittico dominato dalla violenza, con bande di teppisti che si combattono per le strade, la polizia ha istituito dei corpi speciali motorizzati, combattenti irriducibili tra cui spicca il tenace Max Rockatansky, detto “Mad” Max. Dopo che il tribunale evita di condannare un teppista che ha assassinato un suo amico e collega, Max pensa seriamente di lasciare il corpo di polizia, sfiduciato dalla giustizia in nome della quale rischia ogni giorno la vita. Ma quando una gang di sadici punk criminali gli irrompono in casa e gli sterminano la famiglia, il nostro, pazzo di dolore, fa della sanguinosa vendetta contro il crimine il suo unico scopo esistenziale. In breve il nome di “Mad” Max diventerà l’incubo di tutti i fuorilegge del distretto. Questo piccolo film australiano, girato a basso costo e senza molte pretese da un regista esordiente di belle speranze come George Miller (che faceva il medico nel pronto soccorso di Sydney), divenne, inaspettatamente, un clamoroso successo mondiale di pubblico, incassando oltre cento milioni di dollari ed entrando prepotentemente nell’immaginario giovanile per la sua pregnante estetica ferocemente allucinata. E’ uno dei grandi cult degli anni ’70, che lanciò Mel Gibson tra i futuri divi di Hollywood e diede inizio a una fortunata saga cinematografica, con due seguiti e uno straordinario reboot nel 2015. Per quanto il suo modello di ispirazione principale sia il rude poliziesco americano di Siegel, di Friedkin e di Winner, con tutto il relativo carico di giustizialismo, brutalità e “occhio per occhio”, il film di Miller va ben oltre, grazie all’ardita contaminazione di generi e influenze diverse che danno vita ad un magma eccentrico che comprende il western, il road movie, la fantascienza distopica, l’estetica punk e le pellicole sui “motori rombanti”, con tutto il corredo di automobili modificate e di motociclette saettanti. Visivamente è un’opera imponente e affascinante, pur nel suo acerbo minimalismo grezzo, in cui il genio del regista si sbizzarrisce in una miriade di invenzioni grafiche che hanno lasciato il segno. Le atmosfere a metà strada tra una preistoria barbarica ed un futuro di rozza e minacciosa meccanica, le straordinarie sequenze di inseguimento sulle strade selvagge di un’Australia sconfinata, la violenza feroce che accomuna tutti i personaggi senza distinzione tra buoni o cattivi, l’anarchia ideologica che non fa sconti a nessuno ed evita ogni sorta di retorica consolatoria e l’estrema durezza degli scontri che stinge nel mito ancestrale, ne fanno un prodotto di assoluto rilievo artistico, da molti critici frettolosamente bandito come B-movie sadico istigatore di violenza. A volergli trovare un vero difetto, l’evidenza della sua dimensione artigianale, dovuta alla scarsità di mezzi, ne riduce ampiamente la portata visionaria. Ma alla maggior parte dei suoi numerosi fans piace esattamente per questo suo modo di essere: spartano, sporco, nudo e crudo.

Voto:
voto: 4/5

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