giovedì 22 giugno 2017

Paradiso perduto (Great Expectations, 1998) di Alfonso Cuarón

Finn Bell, giovane aspirante pittore della Florida con scarsi mezzi finanziari, riceve un inatteso aiuto economico da un misterioso benefattore che gli consente di andare a New York, studiare pittura e organizzare una propria mostra. Tutto sembra risalire alla sua infanzia, povera ma felice, vissuta in un villaggio di pescatori della Florida di cui il nostro rammenta alcuni eventi particolari: l’aiuto dato ad un pericoloso evaso in fuga, la decadente residenza della signora Dinsmoor (da tutti chiamata “Paradiso perduto”) dove il piccolo Finn veniva invitato ogni sabato con il cuore carico di passione. In quel luogo egli ha sviluppato la sua passione per la pittura e ha conosciuto la coetanea Estella, una splendida biondina nipote della padrona di casa, grande amore della sua vita mai ritrovato dopo la sua improvvisa partenza. Ma, una volta a New York, la vita di Finn cambia completamente: egli diventa un affermato pittore, ritrova la sua Estella e scopre l’identità del suo benefattore. Ma non tutte le cose andranno secondo le sue aspettative. Ennesima versione (e non certo la migliore) del famoso romanzo di Dickens “Grandi speranze”, adattato diverse volte per cinema, teatro e televisione. Con l’azione trasposta ai giorni nostri e molti nomi dei personaggi cambiati, Cuarón trasforma il racconto di formazione dickensiano in un melodramma barocco ricco di patos e di momenti languidi nelle pieghe di un tormentato rapporto sentimentale vissuto a più riprese tra separazioni e riavvicinamenti. Tutte le implicazioni sociali del libro vengono smarrite (anche in virtù del cambio d’epoca) e sacrificate sull’altare di un romanticismo vibrante, costantemente sul filo tra l’estasi e il dolore. I meriti principali dell’opera risiedono in una prima parte di magica bellezza onirica (quella dell’infanzia in Florida), nella splendida fotografia del grande Emmanel Lubezki (che conferisce alle immagini un fascino lirico che stinge nel mitico) e nelle buone interpretazioni del cast femminile con Anne Bancroft, eccellente nei panni della vecchia e un po’ matta signora Dinsmoor, e Gwyneth Paltrow, bella, intensa e sensuale che ci regala anche una bollente scena di nudo in posa che è un vero piacere per gli occhi. Più sottotono la controparte maschile con Ethan Hawke imbambolato e Robert De Niro che eccede in esibizionismo trasformista. Tutta la seconda parte è invece banale, artificiosa, patinata, struggente con petulanza, per un film complessivamente poco equilibrato anche se non privo di fascino visivo. Quasi obbligate le tre stelline di sufficienza.

Voto:
voto: 3/5

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