Dall'omonima tragedia di Christopher Marlowe, una storia medievale di potere, sesso e morte. Edoardo II della dinastia dei Plantageneti sale sul trono d'Inghilterra a 23 anni. Uomo debole e vizioso, sposa la cinica Isabella di Francia ma si rifiuta di avere rapporti sessuali con lei, perchè invaghito del bellimbusto Gaveston, da lui nominato Gran Ciambellano e riempito di titoli e di ricchezze. Isabella diventa l'amante del nobile Mortimer e prepara con lui un piano per liberarsi del re e del suo amante omosessuale, in modo da poter regnare al suo posto come sovrana reggente del figlio. Capolavoro di Derek Jarman che adatta con libertà creativa e fantasia visionaria il testo originale di Marlowe, facendone un manifesto anarchico della sua libertà poetica, stilizzandolo con anacronismi e postmodernismi di ipnotica suggestione, esaltati da un minimalismo scenografico basato sui vuoti, su giochi di luci e di ombre e sulla ristrettezza di spazi soffocanti. Ovviamente l'autore reinterpreta la fonte d'ispirazione secondo la sua personale sensibilità, sorvolando sulla verosimiglianza storica e soffermandosi sulle componenti passionali ed erotiche. Pur nella straniante messa in scena scarnificata e simbolica, egli mette al centro della vicenda il rapporto romantico omosessuale tra il re e Gaveston, attraverso sequenze di straordinaria estetizzazione lirica (come quella, memorabile, in cui Annie Lennox irrompe cantando sulla scena e con la voce "accarezza" i due amanti). Edoardo II è, quindi, anche un film politico, probabilmente il più politico della carriera di Jarman. Un'opera di tetra bellezza e di surreale fascinazione sull'eterno conflitto tra libertà individuale e potere corporativo, qui simboleggiato dall'amore proibito e "scandaloso" tra Edoardo e Gaveston. Girato come sempre con pochi soldi e tanto estro creativo, il film riesce a fondere simbolicamente gli elementi psicologici con quelli scenografici, modulando i suoi toni in una gamma che spazia dallo scherzoso all'orripilante, dalla dolcezza di un amore impossibile alla crudeltà della camera delle torture, ma senza mai smarrire la coerenza estetica e la compattezza narrativa. Nel cast brilla una superlativa Tilda Swinton, premiata (tra scroscianti applausi) con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile al 48-esimo Festival di Venezia.
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