Alla fine dell'ottocento il piccolo Pelle (un undicenne sveglio e taciturno) e il suo anziano padre Lasse, lasciano la Svezia per emigrare nella più ricca Danimarca. Trovano un umile lavoro da stallieri e devono convivere con ingiustizie, umiliazioni, sfruttamento e ostilità di stampo xenofobo. Pelle trova un buon amico in Erik, un bracciante ribelle che gli parla dell'America, terra lontana carica di promesse e di opportunità, come dell'ultima speranza per i reietti come loro per ambire ad una vita migliore. Così il ragazzo, mentre continua a ingoiare i bocconi amari del suo triste quotidiano, inizia a cullare il grande sogno americano. Questo fortunato film del danese Bille August, tratto dal romanzo omonimo di Martin Andersen Nexø, è un'epopea rurale all'insegna di un dolente naturalismo, che affronta temi storico-sociali importanti quali emigrazione, discriminazione, strumentalizzazione, povertà, ma con un tono blando, rassegnato, limitandosi ad una pacata denuncia dell'ingiustizia e scegliendo di dare maggior risalto agli aspetti emotivi-sentimentali della storia. Questo atteggiamento trova parziale giustificazione nella decisione di mostrare la vicenda dal punto di vista del piccolo protagonista, i cui ingenui occhi di bambino impareranno presto quanto la vita possa essere dolorosa e crudele. Un po' romanzo di formazione e un po' saga dei vinti, questo film lungo e sensibile procede tra alti e bassi, dall'imponenza degli scenari naturali nordici ad una certa ridondanza espressiva, dalla grande interpretazione sofferta di un magnifico attore come Max von Sydow agli eccessi di sentimentalismo, dalla delicata rappresentazione del rapporto padre-figlio al disegno patetico dei personaggi di contorno, troppo carichi di cliché. Pur riconoscendone i meriti di immediata empatia e di ampio respiro romanzesco-avventuroso, alla fine emerge una pari sensazione di opera iper-dilatata, edificante e di sensibilità più televisiva che cinematografica. Eppure la critica è andata in estasi per questa pellicola, capace anche di aggiudicarsi (un po' a sorpresa) due premi importanti come la Palma d'Oro al Festival di Cannes (assegnata dalla giuria presieduta dal nostro Ettore Scola) e l'Oscar come miglior film straniero. Troppa grazia.
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