mercoledì 12 luglio 2017

A Beautiful Mind (A Beautiful Mind, 2001) di Ron Howard

Vita, molto romanzata, del matematico americano John Forbes Nash suddivisa in quattro periodi: dagli studi giovanili a Princeton, ai lunghi anni di ricerca durante i quali ha elaborato la sua teoria dei giochi, con successiva geniale intuizione di applicarla ai modelli economici per calcolare le fluttuazioni dei mercati finanziari, cosa che gli è valso il Premio Nobel per l’economia 1994. Il tutto passando attraverso una grave forma di schizofrenia che lo ha sempre accompagnato, rendendolo per lunghi periodi invalido perchè calato in un mondo tutto suo, incapace di distinguere la realtà dalle allucinazioni, e l’amore per la bella e tenace Alicia, compagna e moglie che lo ha costantemente sostenuto nei momenti più bui. Uomo schivo, irrequieto e ombroso, Nash ha vissuto una vita, a suo modo straordinaria, sospesa tra genio e follia. Tratto dalla biografia “Il genio dei numeri” di Sylvia Nasar e sceneggiato da Akiva Goldsman, il film di Ron Howard è un biopic in forma classica ricolmo di tutti gli stereotipi e le convenzioni hollywoodiane, secondo il collaudato cliché di pellicola acchiappa premi. Enfatizzato nelle vicende, semplificato nei passaggi chiave, banale nell’accumulo di scene madri, ruffiano nel programmatico utilizzo di un sentimentalismo edificante e strappalacrime, è un film astuto e confortante, costruito ad hoc per raccogliere facili consensi e riconoscimenti. Ha però due meriti indubbi: la sorpresa che arriva a metà film e che lo divide idealmente in due parti molto diverse (la migliore è la prima), entrambe nella soggettiva del protagonista. E la grande prova recitativa di un ottimo cast in cui svettano un dimesso e bravissimo Russel Crowe, in un inedito ruolo introspettivo, e l’intensa Jennifer Connelly, premiata con l’Oscar come miglior attrice non protagonista. Notevoli le interpretazioni anche degli altri componenti tra cui ricordiamo Ed Harris, Paul Bettany, Josh Lucas e Christopher Plummer. Assai meno convincente l’utilizzo del trucco prostetico per ringiovanire e invecchiare gli attori in un racconto che spazia temporalmente dal 1947 al 1994. La pellicola ebbe un notevole successo di pubblico, come era ampiamente prevedibile, e vinse quattro Oscar “pesanti”: miglior film, regia, sceneggiatura e la Connelly. Consigliato ai mainstreamers dalla lacrima facile in cerca di buoni sentimenti e romanticismo sdolcinato. Lo spettatore più esigente e sottile non potrà non storcere il naso per il grossolano buonismo didascalico.

Voto:
voto: 2,5/5

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