In
un piccolo paese della Pennsylvania, nel dicembre 1973, la quattordicenne Susie
Salmon viene brutalmente stuprata e assassinata da George Harvey, insospettabile
vicino di casa che, sotto l’aspetto di ometto solitario e metodico, nasconde la
ferocia rabbiosa di un serial killer ossessionato dalle giovinette. La
scomparsa di Susie (il suo assassino ne nasconde accuratamente il corpo in modo
da non farlo mai ritrovare) getta i suoi cari (padre, madre, nonna, fratello e
sorella) nella disperazione più assoluta, tra sconforto, speranze e delusioni.
Con il passare del tempo il timore che la piccola sia caduta vittima nelle mani
di un folle diventa amara consapevolezza e la famiglia sembra sull’orlo dello
sfaldamento, tra crisi isteriche e sensi di colpa. Ma intanto Susie è finita in
una sorta di limbo ultraterreno da cui può vedere tutto quello che succede nel
mondo che ha tragicamente lasciato. Inizialmente intenzionata a vendicarsi del
suo assassino, la ragazza procede attraverso una crescita spirituale che le fa
capire come la cosa più importante sia aiutare i suoi familiari a guarire dal
dolore. Intanto Lindsey, la sveglia sorellina di Susie, inizia a covare dei
sospetti sull’imperturbabile Harvey. Dal romanzo omonimo di Alice Sebold, il neozelandese
Peter Jackson ha tratto un ambizioso e doloroso fanta-thriller introspettivo
(scritto dal regista insieme alla moglie Fran Walsh e Philippa Boyens),
costruito sull’assenza di un corpo (quello della protagonista egregiamente
interpretata dall’espressiva Saoirse Ronan dagli occhi azzurri come il cielo) e
sull’impatto emotivo che questa assenza procura in un nucleo familiare prima
apparentemente felice. L’assenza di Susie nella realtà scenica terrena diventa
per lo spettatore presenza, sia attraverso la sua voce narrante sia per mezzo
della dimensione fantastico trascendente, che assume le connotazioni dei sogni,
delle paure e dei turbamenti adolescenziali della giovane protagonista. E’
ovviamente un film a due livelli: quello ambientato nella piccola comunità
provinciale americana, che è minuzioso, dolente e lavora per sottrazione
psicologica, e quello che si svolge nell’aldilà, la cui esuberante
rappresentazione estetica (con spropositato abuso di effetti digitali) oscilla
tra kitsch, pop art e New Age, con
una tendenza esasperata al barocchismo stilistico. La parte che ha luogo nel
mondo reale, pur tra qualche lungaggine e qualche scivolone narrativo, è
nettamente da preferire. Nel cast appaiono particolarmente brillanti la già
citata protagonista Saoirse Ronan ed un inedito Stanley Tucci che, con una
interpretazione di sobria intensità trattenuta, appare credibilmente
inquietante nei panni del serial killer della porta accanto. Titubanti e
incerti Mark Wahlberg e Rachel Weisz, un po’ troppo macchiettistica Susan
Sarandon nel ruolo della cinica nonna con problemi di alcolismo. Come al solito
Jackson ricerca costantemente il sensazionale e finisce per sconfinare nel
manierismo autoreferenziale. Memorabile la sequenza, di evidente suggestione hitchcockiana,
della giovane Lindsey che entra di
nascosto nella casa del maniaco alla ricerca di indizi. Tucci è stato candidato
all’Oscar come miglior attore non protagonista per la sua performance.
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