mercoledì 12 luglio 2017

Amabili resti (The Lovely Bones, 2009) di Peter Jackson

In un piccolo paese della Pennsylvania, nel dicembre 1973, la quattordicenne Susie Salmon viene brutalmente stuprata e assassinata da George Harvey, insospettabile vicino di casa che, sotto l’aspetto di ometto solitario e metodico, nasconde la ferocia rabbiosa di un serial killer ossessionato dalle giovinette. La scomparsa di Susie (il suo assassino ne nasconde accuratamente il corpo in modo da non farlo mai ritrovare) getta i suoi cari (padre, madre, nonna, fratello e sorella) nella disperazione più assoluta, tra sconforto, speranze e delusioni. Con il passare del tempo il timore che la piccola sia caduta vittima nelle mani di un folle diventa amara consapevolezza e la famiglia sembra sull’orlo dello sfaldamento, tra crisi isteriche e sensi di colpa. Ma intanto Susie è finita in una sorta di limbo ultraterreno da cui può vedere tutto quello che succede nel mondo che ha tragicamente lasciato. Inizialmente intenzionata a vendicarsi del suo assassino, la ragazza procede attraverso una crescita spirituale che le fa capire come la cosa più importante sia aiutare i suoi familiari a guarire dal dolore. Intanto Lindsey, la sveglia sorellina di Susie, inizia a covare dei sospetti sull’imperturbabile Harvey. Dal romanzo omonimo di Alice Sebold, il neozelandese Peter Jackson ha tratto un ambizioso e doloroso fanta-thriller introspettivo (scritto dal regista insieme alla moglie Fran Walsh e Philippa Boyens), costruito sull’assenza di un corpo (quello della protagonista egregiamente interpretata dall’espressiva Saoirse Ronan dagli occhi azzurri come il cielo) e sull’impatto emotivo che questa assenza procura in un nucleo familiare prima apparentemente felice. L’assenza di Susie nella realtà scenica terrena diventa per lo spettatore presenza, sia attraverso la sua voce narrante sia per mezzo della dimensione fantastico trascendente, che assume le connotazioni dei sogni, delle paure e dei turbamenti adolescenziali della giovane protagonista. E’ ovviamente un film a due livelli: quello ambientato nella piccola comunità provinciale americana, che è minuzioso, dolente e lavora per sottrazione psicologica, e quello che si svolge nell’aldilà, la cui esuberante rappresentazione estetica (con spropositato abuso di effetti digitali) oscilla tra kitsch, pop art e New Age, con una tendenza esasperata al barocchismo stilistico. La parte che ha luogo nel mondo reale, pur tra qualche lungaggine e qualche scivolone narrativo, è nettamente da preferire. Nel cast appaiono particolarmente brillanti la già citata protagonista Saoirse Ronan ed un inedito Stanley Tucci che, con una interpretazione di sobria intensità trattenuta, appare credibilmente inquietante nei panni del serial killer della porta accanto. Titubanti e incerti Mark Wahlberg e Rachel Weisz, un po’ troppo macchiettistica Susan Sarandon nel ruolo della cinica nonna con problemi di alcolismo. Come al solito Jackson ricerca costantemente il sensazionale e finisce per sconfinare nel manierismo autoreferenziale. Memorabile la sequenza, di evidente suggestione hitchcockiana, della giovane  Lindsey che entra di nascosto nella casa del maniaco alla ricerca di indizi. Tucci è stato candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista per la sua performance.

Voto:
voto: 3/5

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