mercoledì 12 luglio 2017

Il codice da Vinci (The Da Vinci Code, 2006) di Ron Howard

Robert Langdon, insigne docente americano di simbologia religiosa, viene coinvolto nella misteriosa e orribile morte di Saunière, anziano curatore del museo del Louvre con cui doveva incontrarsi a Parigi il giorno dopo. L’esperienza di Langdon nella decifrazione di simboli ed enigmi e l’energica dedizione di Sophie Neveu, nipote del defunto, consentono ai due improvvisati investigatori di scoprire un pericoloso e antico complotto religioso che da duemila anni cerca di nascondere uno sconvolgente segreto in nome del quale molti fanatici sono disposti a uccidere o a morire. Braccato dalla polizia francese che lo ritiene colpevole dell’omicidio di Saunière e inseguito da un inquietante monaco assassino al soldo di un vescovo dell’Opus Dei, Langdon e la Neveu dovranno fuggire in giro per l’Europa in una frenetica caccia al tesoro, decifrando enigma dopo enigma, per salvare le proprie vite e svelare l’arcano mistero alla base della vicenda. Costoso, ambizioso ed attesissimo thriller d'inseguimento, sorretto da una pseudo logica storico deduttiva che lo rende un caotico puzzle di situazioni avventurose attraverso location di notevole fascino culturale. Tratto dal sopravvalutato best seller omonimo di Dan Brown che, con circa 40 milioni di copie vendute, è stato il fenomeno letterario del 2003, ne eredita le medesime magagne concettuali dando vita ad un inverosimile pastrocchio di leggende esoteriche, complottismo grossolano, becero sensazionalismo religioso, strafalcioni storici, spiegoni insopportabili, il tutto condito con maldestri flashback ambientati al tempo delle crociate (realizzati con ridicoli effetti in CGI) ed una recitazione generalmente oscillante tra lo scialbo e l’istrionico. Tom Hanks e Audrey Tautou appaiono spaesati nei due ruoli principali, Ian McKellen gigioneggia in maniera insopportabile nei panni del sornione sir Teabing, Jean Reno sembra un mastino con la bava alla bocca, mentre si salvano dal disastro il torvo Silas di Paul Bettany (indubbiamente il personaggio che resta più impresso) e l’ambiguo vescovo Aringarosa di Alfred Molina. Il punto più basso del film si raggiunge nel finale in cui, dopo estenuanti fughe e ingarbugliate spiegazioni pseudo storiche/religiose da dare in pasto ai qualunquisti amanti delle cervellotiche macchinazioni, dovrebbe finalmente arrivare la tanto attesa rivelazione sconvolgente, che ha però l’effetto di suscitare un disdicevole ridicolo involontario nello spettatore. Nonostante tutto gli incassi sono stati molto buoni (sull’onda dell’inopinato successo del romanzo del affabulatore Brown), specialmente nel nostro paese, e ciò ha dato vita (ahinoi!) a due pseudo “seguiti”, sempre tratti da opere dello scrittore del New Hampshire, sempre con Langdon protagonista nel risolvere enigmi e congiure religiose, e sempre con l’accoppiata Howard-Hanks. Sperando ardentemente che sia finita qui, viene da chiedersi che cosa avrà mai fatto di tanto male la Chiesa cattolica al furbo Dan Brown. Di certo gli ha fatto indirettamente guadagnare milioni di dollari, concedendo una imprevedibile visibilità alla sua letteratura da supermercato (o da ombrellone in spiaggia).

La frase: "Sotto l'antica Rosslyn il Santo Graal aspetta. Calice e Lama sorvegliano l'Eletta, adorna d'opre d'artisti incantati, riposa infine sotto cieli stellati."

Voto:
voto: 2/5

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