venerdì 14 luglio 2017

A.I. - Intelligenza artificiale (Artificial Intelligence: AI, 2001) di Steven Spielberg

In un futuro imprecisato i robot sono diventati parte integrante della società ma la Cybertronics, azienda leader del settore, decide di spingersi ancora più oltre realizzando il piccolo David, un modello innovativo di robot bambino dalle sembianze perfettamente umane, capace di provare emozioni e concepito per amare senza condizioni colui (o colei) che lo inizierà ai sentimenti attraverso una procedura di “Imprinting”. Affidato ai coniugi Swinton, David si lega morbosamente alla madre, che però non esita ad abbandonarlo in un bosco dopo che il suo figlio naturale si risveglia dal coma e si dimostra geloso dell’intruso. Rimasto solo con Teddy, un orsetto meccanico parlante, il nostro passa attraverso molte avventure, da una radura da incubo in cui gli automi vengono distrutti in un macabro spettacolo che ricorda i "circhi" dei gladiatori romani, ad un'avveniristica e decadente città, Rouge City, dedicata ai piaceri “artificiali”. Aiutato da un improbabile compagno di viaggio, un robot programmato per il piacere sessuale chiamato Gigolò Joe, David contatta l'onnisciente Dottor Know, un software tuttologo, per ricevere notizie sul luogo in cui vive la Fata Turchina (di cui ha sentito parlare dalla fiaba di “Pinocchio”), convinto che lei sarà in grado di trasformarlo in un bambino vero e che, in questo modo, l’amata madre lo riprenderà con sè. Inviati a Manhattan dallo strambo Dottor Know, i tre compagni di viaggio trovano una brutta sorpresa: l’intera città di New York è stata sommersa dalle acque dell’Oceano, da cui emergono solo i piani più alti di alcuni grattacieli. Antefatto: fin dalla fine degli anni ’80 Stanley Kubrick voleva realizzare a tutti i costi questo film, adattando il breve racconto di Jan Watson del 1969 “I supergiocattoli che durano tutta l’estate”. Il grande regista aveva già scritto ampi tratti della sceneggiatura, realizzato disegni concettuali delle scenografie e scelto il titolo finale: “Artificial Intelligence: AI”. Ma aveva sempre rimandato il progetto perchè non riteneva gli effetti speciali in grado di soddisfare appieno l’altezza della sua visione. Dopo aver guardato Jurassic Park rimase così impressionato dalla resa visiva dei dinosauri digitali che chiamò subito al telefono Steven Spielberg, iniziando con lui un affettuoso e duraturo sodalizio telefonico intercontinentale (Kubrick viveva in Inghilterra). Dopo alcuni anni di lunghe chiacchierate con il collega americano in merito al progetto A.I., Kubrick si convinse che i tempi erano ormai maturi ed era solo indeciso se limitarsi a produrre il film, affidando la regia a Spielberg, o viceversa. Dopo la morte improvvisa del Maestro, avvenuta nel 1999, Spielberg si sentì in dovere di onorarlo portando avanti il lavoro iniziato, completando la sceneggiatura scritta da Kubrick, ispirandosi ai bozzetti da lui stesso disegnati per gli ambienti scenografici e dirigendo personalmente il film. Che cos’è dunque questo A.I. - Intelligenza artificiale ? Un film di Kubrick diretto da Spielberg ? Quanto è rimasto delle idee originali del grande Maestro in ciò che abbiamo visto al cinema nel 2001 ? E, a guardare l’anno di uscita, è evidente che al destino non manca il senso dell’umorismo. E’ questa la domanda che si sono posti tutti i fans kubrickiani approcciandosi alla visione della pellicola, sospesi tra timori e speranze. La discussione è ovviamente complessa e, probabilmente, interminabile, come quella sul montaggio finale di Eyes Wide Shut. Va detto subito che A.I. è un film anomalo e tortuoso, un film dalla doppia personalità e dalla doppia anima, poco kubrickiano e troppo spielberghiano. Una favola tecnologica divisa in tre parti: nella prima (l’ambientamento di David nella famiglia adottiva), fatta di momenti semplici e secchi, è evidente che Spielberg cerca di imitare lo stile algido di Kubrick e, a tratti, ci riesce anche bene. Nella seconda (la “fiera della carne” e Rouge City), l’immaginario visionario deborda in un’orgia di sensazionalismo apocalittico (con echi di Olocausto ebraico), con suggestioni che spaziano dal fantasy dark all’horror, ma con un risultato stilistico non sempre calibrato. Nella terza (Manhattan e l’incontro con gli alieni) il film sprofonda (in tutti i sensi) in un tripudio di melassa sentimentale e di buonismo sdolcinato, mescolando insieme, con maldestra presunzione, Pinocchio e Peter Pan, Edipo e Incontri ravvicinati, fino al tripudio di un ruffiano epilogo strappalacrime, enfatizzato dalle note, struggenti fino allo sfinimento, di John Williams. La metafora del viaggio di formazione con cui ogni maschio cerca inconsciamente di tornare al grembo materno si concretizza in una fiaba melodrammatica che è totalmente spielberghiana, in cui i molti simbolismi psicoanalitici del finale prolisso e patetico si disperdono in un sentimentalismo disarmante e dozzinale. E’, probabilmente, il peggior film di Spielberg e sono pronto a scommettere che a Kubrick non sarebbe affatto piaciuto.

Voto:
voto: 2,5/5

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