giovedì 13 luglio 2017

L'ultimo samurai (The Last Samurai, 2003) di Edward Zwick

Nathan Algren, ex capitano dell’esercito americano dedito all’alcolismo, viene ingaggiato dal giovane imperatore giapponese, molto affascinato dall’Occidente e dalle novità tecnologiche, per addestrare il suo esercito all’arte della guerra, utilizzando metodologie e armi moderne ed eliminando così gli antichi samurai. Giunto in Giappone con scarso interesse e tronfia arroganza, Algren viene frettolosamente invitato a preparare un improbabile drappello di combattenti, a cui si unisce lui stesso, per stanare un gruppo di samurai ribelli. Inevitabilmente sconfitto dalla nobile arte guerriera dei fenomenali nemici nipponici, Algren, che comunque si batte come un leone solo contro tutti, viene fatto prigioniero e condotto in un villaggio segreto dei samurai, comandati dal saggio e orgoglioso Katsumoto. Vivendo insieme a loro l’americano impara a conoscerne usi, costumi, filosofia, stile di vita e ad apprezzarne la solida spiritualità, il culto del lavoro, lo spirito di sacrificio ed il senso dell’onore. Affascinato dalla loro cultura e dai loro ideali puri e spartani, che gli ricordano l’uomo che lui stesso era un tempo, Algren cerca in tutti i modo di integrarsi nella nuova comunità che lo guarda con diffidenza. Dopo lunghe chiacchierate con il leader Katsumoto, che ne apprezza il coraggio e la passione, il nostro inizia ad apprendere la lingua e l’antica arte della spada, finendo così per schierarsi totalmente dalla parte di coloro che prima considerava nemici. Ambizioso e spettacolare kolossal epico storico, stracolmo di tutti i cliché hollywoodiani, tra banalità grossolane, strafalcioni storici, superficiali inverosimiglianze, retorica patriottarda, moralismo ruffiano, sentimentalismo sdolcinato e inevitabili concessioni alle esigenze commerciali che ne distruggono ogni velleità filosofica e spirituale nella descrizione (dozzinale) dell’antica cultura giapponese, da cui l’America avrebbe molto da imparare già solo per un fatto anagrafico. Nonostante i mille difetti e la presenza ingombrante del divo Tom Cruise, qualcosa da salvare c’è: la notevole confezione estetica che trova il suo tripudio nella magnificenza visiva dei paesaggi orientali, l’imponente ricostruzione ambientale in termini di scenografie e costumi, le solenni musiche di Hans Zimmer, la spettacolarità delle sequenze di battaglia e la grande interpretazione del cast giapponese, che mette in ombra la controparte americana, in cui svetta il fiero Ken Watanabe, candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista. Il momento migliore del film è la sequenza nella foresta, con i samurai in assetto di guerra che emergono dalla nebbia. Il punto più basso, in cui si sfiora il ridicolo involontario, è l’incontro finale tra Algren/Cruise e l’imperatore. Zwick conferma la sua vocazione di abile e pavido artigiano al soldo delle major per una pellicola che ha comunque avuto un notevole successo di pubblico.

Voto:
voto: 2,5/5

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