Nathan
Algren, ex capitano dell’esercito americano dedito all’alcolismo, viene
ingaggiato dal giovane imperatore giapponese, molto affascinato dall’Occidente
e dalle novità tecnologiche, per addestrare il suo esercito all’arte della
guerra, utilizzando metodologie e armi moderne ed eliminando così gli antichi
samurai. Giunto in Giappone con scarso interesse e tronfia arroganza, Algren
viene frettolosamente invitato a preparare un improbabile drappello di
combattenti, a cui si unisce lui stesso, per stanare un gruppo di samurai
ribelli. Inevitabilmente sconfitto dalla nobile arte guerriera dei fenomenali
nemici nipponici, Algren, che comunque si batte come un leone solo contro
tutti, viene fatto prigioniero e condotto in un villaggio segreto dei samurai,
comandati dal saggio e orgoglioso Katsumoto. Vivendo insieme a loro l’americano
impara a conoscerne usi, costumi, filosofia, stile di vita e ad apprezzarne la
solida spiritualità, il culto del lavoro, lo spirito di sacrificio ed il senso
dell’onore. Affascinato dalla loro cultura e dai loro ideali puri e spartani,
che gli ricordano l’uomo che lui stesso era un tempo, Algren cerca in tutti i
modo di integrarsi nella nuova comunità che lo guarda con diffidenza. Dopo
lunghe chiacchierate con il leader Katsumoto, che ne apprezza il coraggio e la
passione, il nostro inizia ad apprendere la lingua e l’antica arte della spada,
finendo così per schierarsi totalmente dalla parte di coloro che prima considerava
nemici. Ambizioso e spettacolare kolossal epico storico, stracolmo di tutti i cliché hollywoodiani, tra banalità
grossolane, strafalcioni storici, superficiali inverosimiglianze, retorica
patriottarda, moralismo ruffiano, sentimentalismo sdolcinato e inevitabili
concessioni alle esigenze commerciali che ne distruggono ogni velleità
filosofica e spirituale nella descrizione (dozzinale) dell’antica cultura
giapponese, da cui l’America avrebbe molto da imparare già solo per un fatto
anagrafico. Nonostante i mille difetti e la presenza ingombrante del divo Tom
Cruise, qualcosa da salvare c’è: la notevole confezione estetica che trova il
suo tripudio nella magnificenza visiva dei paesaggi orientali, l’imponente
ricostruzione ambientale in termini di scenografie e costumi, le solenni
musiche di Hans Zimmer, la spettacolarità delle sequenze di battaglia e la
grande interpretazione del cast giapponese, che mette in ombra la controparte
americana, in cui svetta il fiero Ken Watanabe, candidato all’Oscar come
miglior attore non protagonista. Il momento migliore del film è la sequenza
nella foresta, con i samurai in assetto di guerra che emergono dalla nebbia. Il
punto più basso, in cui si sfiora il ridicolo involontario, è l’incontro finale
tra Algren/Cruise e l’imperatore. Zwick conferma la sua vocazione di abile e
pavido artigiano al soldo delle major per una pellicola che ha comunque avuto
un notevole successo di pubblico.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento