venerdì 14 luglio 2017

Memorie di una geisha (Memoirs of a Geisha, 2005) di Rob Marshall

Nel Giappone del 1929 la piccola Chiyo, nove anni, viene venduta dal padre, povero pescatore in grave disagio economico, a una Okiya, casa di geishe di Tokyo. Iniziando come umile sguattera Chiyo, che assumerà il nome di Sayuri, diventa una geisha famosa, bellissima e ricercata, capace di sedurre gli uomini più potenti dell’epoca. Ma il suo cuore batte sempre per il “Direttore generale”, un uomo d’affari gentile e raffinato che le offrì un gelato quando lei era piccola. Sontuoso melodramma storico esotico, prodotto da Steven Spielberg e tratto dal romanzo omonimo (e di grande successo) di Arthur Golden. Dal punto di vista estetico è un film straordinario: prezioso nei costumi, sfarzoso nelle scenografie, raffinatissimo nella messa in scena, abbacinante nella bellezza dei paesaggi giapponesi incorniciati dalla vivida fotografia virata in rosso di Dion Beebe. Un tripudio di potenza figurativa obbediente al culto di un cromatismo esasperato nel suo espressionismo. Analogamente da elogiare il cast asiatico, con tre splendide interpreti, Zhang Ziyi, Gong Li e Michelle Yeoh, la cui morbida sensualità viene accarezzata da un particolare utilizzo dei colori, ed un grande attore molto conosciuto in Occidente come il carismatico Ken Watanabe. Peccato che l’impronta fortemente hollywoodiana dell’opera la renda poco attendibile dal punto di vista storico e filologico, un ritratto oleografico e mitizzato, più che realistico, che illustra, non senza banalizzazioni e superficialità, l’immaginario iconografico che gli occidentali hanno del mondo giapponese, assecondandone tutti gli stereotipi. La cifra stilistica orientata verso un esotismo accomodante costituisce il difetto principale della pellicola, che appare, in tal senso, una rapsodia frammentaria e glaciale di belle diapositive, inevitabilmente sovra esposte, grazie alla loro suggestione geograficamente agli antipodi della nostra cultura, rispetto agli occhi del pubblico mainstream che, probabilmente, non ha mai visto un vero film giapponese d’autore. Fu premiato con tre meritati Oscar: fotografia, costumi e scenografie.

Voto:
voto: 3/5

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