giovedì 13 luglio 2017

The Village (The Village, 2004) di M. Night Shyamalan

Covington, in Pennsylvania, è una piccola comunità rurale del XIX secolo, posta in una vallata fertile e ridente e circondata da un fitto bosco che ne favorisce l’isolamento, perchè popolato da misteriose entità mostruose e crudeli che tutti chiamano le “creature innominabili”. Il consiglio dei saggi che governa il villaggio ha stretto un antico patto di reciproco rispetto con le creature, ottenendo la sicurezza degli abitanti in cambio di periodiche offerte sacrificali sotto forma di bestiame, fuochi sempre accesi durante la notte e l’impegno a non varcare mai la soglia della boscaglia che delimita il territorio di loro competenza. Ma il giovane Lucius, passionale, ribelle e curioso di scoprire il mondo, decide di infrangere le regole e di sfatare l’antico mito, provocando la reazione delle creature che assalgono ripetutamente il paese seminando il panico tra gli abitanti. Quando Lucius viene gravemente ferito da un rivale in amore malato di mente, la sua amata Ivy, coraggiosa ragazza non vedente, decide di addentrarsi nel bosco da sola per raggiungere la più vicina città, dove comprare le medicine necessarie a salvare la vita del ragazzo. Thriller psicologico sotto forma di favola nera dal taglio adulto che mescola abilmente il reale e il fantastico, giocando con il tempo, con i personaggi e con lo spettatore, ponendoli tutti sullo stesso livello prospettico dal punto di vista delle scoperte che vengono fatte nel corso della narrazione. L’indiano Shyamalan, da sempre ossessionato dalla paura come elemento fondante delle sue opere, ha finalmente realizzato un film sulla paura. La paura come strumento di controllo politico che il potere utilizza sui cittadini, la paura come concetto archetipo che limita la libertà umana e la paura come elemento esterno rispetto all’individuo, che fa leva su ancestrali turbamenti interiori. In tal senso la pellicola non nasconde la sua ambizione di parabola politica e metaforica sull’America post 11 settembre, in cui la paura ha amplificato la diffidenza verso gli stranieri, ha riacceso estremismi xenofobi ed ha alimentato l’illusione che la salvezza possa risiedere in un beato isolamento, lasciando fuori il resto del mondo e tutti i suoi presunti pericoli. E’ anche un film sul potere dell’ignoranza, che di solito fa rima con superstizione e quindi con terrore, come fondamentale forza coercitiva con cui il sistema dominante tiene a bada il popolo per i suoi scopi. Ma, per fortuna, esistono fattori umani imprevedibili e analogamente potenti, come l’amore, la curiosità, il coraggio e la voglia di libertà, che spesso mettono in crisi i modelli oligarchici, svelandone l’utopia e la debolezza. Qualcuno ci ha voluto vedere anche un’allegoria acida del Sogno Americano, la cui patina dorata da idillio rasserenante nasconde invece oscuri segreti e loschi intrighi. Dal punto di vista stilistico l’opera si ispira al gotico statunitense, ai grandi classici letterari come “Wuthering Heights” e alla fiabe dei fratelli Grimm, proponendo una visione oscurantista e reazionaria di un’America smarrita e ferita, incapace di fronteggiarsi con le nuove sfide se non arretrando, isolandosi e rinchiudendosi prigioniera del suo stesso mito, ormai da tempo tramontato. Notevole il cast con Joaquin Phoenix, Bryce Dallas Howard (che svetta su tutti con una interpretazione di toccante intensità), Adrien Brody, William Hurt, Sigourney Weaver e Brendan Gleeson. Suggestive le musiche di James Newton Howard e bella fotografia autunnale di Roger Deakins. Nonostante qualche passaggio a vuoto e qualche prolissità, il film è tra i più densi e coesi dell’autore, una sottile metafora politica intrisa di angosce primordiali e di ambizioni universali in cui non può mancare l’inevitabile finale a sorpresa (autentico marchio di fabbrica dell’autore) che, francamente, appare un po’ posticcio, poco credibile e tutto sommato inutile rispetto al senso profondo della pellicola. Senza questi difetti avrebbe meritato le 4 stelline, così com’è ne vale 3, ma mi sento di concedergli mezza stellina in più di stima per l’acuto intreccio narrativo che sa mescolare attualità e fantasy, critica sociale e psicologia antropologica, i cui temi sono, ancora oggi, più attuali che mai con il nuovo presidente USA Trump, la questione mondiale dei migranti e lo spettro, mai del tutto estinto, delle ideologie estremiste di destra.

Voto:
voto: 3,5/5

Nessun commento:

Posta un commento