lunedì 3 maggio 2021

Dov'è la casa del mio amico? (Khane-ye doust kodjast?, 1987) di Abbas Kiarostami

Ahmad è un bambino iraniano che frequenta la scuola elementare. Un giorno si accorge di aver messo per sbaglio nella sua cartella il quaderno del suo compagno di banco, si sente in colpa e vorrebbe evitare un ingiusto castigo al suo amico per non aver fatto i compiti. Prende allora la decisione di andare subito a trovarlo per riportargli il quaderno. Ma i bambini abitano in due villaggi diversi e Ahmad avrà molte difficoltà a trovare la strada giusta. Magnifico dramma sociale di Abbas Kiarostami, lirico, realistico, commovente, sotto forma di piccola odissea infantile all'interno di un microcosmo arcaico e indifferente, culturalmente inerte e arido di prospettive, prigioniero di atavici valori patriarcali e di ideologie autoritarie castranti, non solo di origine religiosa. Il regista contrappone la miseranda staticità del mondo degli adulti, grevi e insensibili, all'idealismo puro di quello dei bambini, rappresentato dal generoso Ahmad, che, con ammirevole coraggio e senso morale, non esista a sfidare le sue paure e le convenzioni familiari per fare ciò che sente giusto, impellente, necessario. Lo stile è sobrio ed efficace, la storia è di una semplicità disarmante, ma le espressioni, gli sguardi, i silenzi e la costernazione che leggiamo sul volto di Ahmad trasmettono emozione, sentimento, generosità: la poesia universale di un misero quotidiano che diventa epica altruistica e favola etica di suggestione mitologica (Davide contro Golia). Lo sguardo dell'autore è lieve e partecipe del travaglio interiore del piccolo eroe protagonista, la telecamera lo pedina incessantemente nel suo viaggio di formazione, accompagnandolo, sostenendolo moralmente, quasi accarezzandolo con dolcezza paterna. E' un piccolo grande film totalmente dalla parte dei bambini, che esalta la loro purezza come unica luce di speranza per il futuro di un paese chiuso e "immobile" come l'Iran, di cui l'autore denuncia non solo la staticità retrograda e la dottrina faziosa, ma anche la mancanza di comunicazione tra classi e tra generazioni, prendendo atto che gli slanci positivi derivino unicamente da isolate azioni individuali. Fedele allo stile del Neorealismo italiano (di cui Kiarostami è sempre stato un fervente ammiratore), il film riesce ad essere, al tempo stesso, calvario esistenziale, elegia dell'infanzia e parabola politica. Un'opera carica di anima, densa di significati e sorretta dal respiro possente del grande cinema.

Voto:
voto: 4,5/5

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