martedì 4 maggio 2021

Volevo nascondermi (2020) di Giorgio Diritti

Biografia della vita del pittore Antonio Ligabue: figlio di emigranti emiliani, viene affidato ad una coppia svizzera dopo la morte della madre, ma i suoi problemi psicologici gli causano presto disagi, incomprensioni e alienazione. Etichettato fin da bambino come un "diverso", viene espulso dalla Svizzera per l'aggressione della madre adottiva e torna alla sua terra d'origine, dove vive da reietto in una capanna sulle rive del Po, oggetto di scherno dei suoi compaesani e tormentato da solitudine e malattie mentali. Da sempre dedito all'attività artistica di disegno e pittura, viene indirizzato dallo scultore Renato Mazzacurati, che ne intuisce subito l'innato talento, a dedicarsi a tempo pieno all'arte. I suoi soggetti sono quasi sempre animali (anche esotici) e, quando non ha una tela, Ligabue dipinge sui muri o su qualunque superficie trova a sua disposizione. Il suo mondo creativo carico di colori e senso di meraviglia diventa lo sfogo della sua disperazione e il suo potente mezzo espressivo. E così "El Tudesc" (così veniva chiamato dai suoi concittadini, a causa dell'infanzia trascorsa oltralpe), da "scemo del villaggio" diventa un artista affermato e stimato da buona parte della critica. Anche se alcuni intellettuali più snob lo hanno sempre sminuito, relegandolo, in senso dispregiativo, nella nicchia degli artisti naif. Ci voleva un regista sensibile e concreto come Giorgio Diritti ed un attore antidivo eclettico come Elio Germano per portare sullo schermo la storia di Antonio Ligabue poco tempo dopo la morte di Flavio Bucci. Infatti il versatile, compianto e bravissimo attore torinese, nonostante una ricca filmografia cinematografica, è rimasto scolpito nell'immaginario popolare per la sua magistrale interpretazione di Ligabue nello sceneggiato televisivo, di grande successo, andato in onda sulla RAI nel 1977. Era quindi inevitabile un automatico e ingombrante confronto nella mente dello spettatore, per quanto il cinema sia un mezzo ben diverso dalla televisione. La non facile prova viene però ampiamente superata e la "sfida" saggiamente evitata. Il Ligabue di Diritti-Germano è infatti diverso da quello portato in scena ai tempi da Flavio Bucci: semplice, sobrio, mai caricaturale o imitativo, più trattenuto che esplicito, ma ugualmente intenso nell'esprimere il suo travaglio interiore e il suo disperato bisogno di sentirsi accettato. Il film, esemplare nella ricostruzione ambientale d'epoca e nella cura precisa dei dettagli, non è soltanto una biografia intima e rigorosa, ma un elogio accorato della diversità, mostrata come una risorsa piuttosto che un limite, a patto di saper abbattere i pregiudizi ed essere in grado di guardare l'anima delle cose al di sotto della superficie esteriore. Perchè talento e arte possono celarsi ovunque, bisogna solo saper cercare con obiettività e libertà di pensiero. Quest'opera limpida e minuziosa, puro inno alla dignità umana, è stata premiata al Festival di Berlino con l'Orso d'argento  per il miglior attore. Un meritato riconoscimento per il trasformista Elio Germano.
 
Voto:
voto: 4/5

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