Tre sedicenti aristocratici russi, in esilio a Montecarlo dopo la prima guerra mondiale, tessono losche trame per arricchirsi a spese altrui. Lui si fa chiamare conte Karamzin e le sue due cugine Olga e Vera. Il conte fa amicizia con un diplomatico americano, mentre cerca di sedurne la moglie per estorcerle del denaro. Intanto Olga e Vera vincono barando al Casinò. Ma le loro truffe avranno vita breve. Colossale melodramma "nero" di Erich von Stroheim, realizzato a Hollywood e prodotto dal leggendario Irving Thalberg. Alla sua uscita, visto il budget esorbitante per la ricostruzione fedele di Montecarlo negli Studios, divenne il film più costoso della storia del cinema del suo tempo. Il film è una parabola di crudele sarcasmo sull'ipocrisia e la falsità intrinseche alla natura umana, un affresco antropologico irridente e spietato in cui tutti i personaggi sono profondamente negativi e persino le vittime hanno lati oscuri nascosti di cui vergognarsi. La nitida crudezza dei contenuti e delle immagini fece cadere immediatamente l'opera sotto gli strali della censura dell'epoca, dando vita ad una interminabile serie di tagli, di versioni e di revisioni che, da un prodotto iniziale di circa 4 ore ridussero la pellicola alla durata di 1 ora e 40 minuti complessivi. Femmine folli è stato per decenni uno dei più celebri film "maledetti" di Hollywood, nonostante il grande successo mondiale di pubblico che permise di ripagare ampiamente l'investimento produttivo iniziale. Solo in tempi recenti è stato possibile reintegrarlo con parte del materiale rimosso dalla censura, arrivando all'attuale versione circolante che sfiora le due ore di durata. E' un film grandioso, coraggioso e ideologicamente brutale, ma anche profondamente sincero e conforme alla visione cinica e misantropica dell'autore. Appartiene ai grandi classici del cinema muto e oggi può essere realmente apprezzato da cultori, cinefili preparati o filologi della settima arte. In questo film il regista, secondo il suo stile di perfida irriverenza, finisce per fare una implicita satira al vetriolo anche contro gli inganni del cinema, degli Studios e dell'idea che il pubblico aveva di lui: Stroheim era un finto nobile che operava in una città fasulla (Hollywood) dove aveva ricostruito un falso di una città francese (Montecarlo). Graffi di metacinema e di sottile autoironia per affermare che tutto è inganno, tutto è finzione, tutto è vano, e senza prendersi troppo sul serio, ma con un ghigno amaro sulle labbra.
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