sabato 15 maggio 2021

Gli anni più belli (2020) di Gabriele Muccino

La vita di quattro amici durante un arco di 40 anni, dagli anni '80 ai giorni nostri, dall'adolescenza all'età adulta. Giulio e Paolo si conoscono fin dall'infanzia, incontrano Riccardo durante una violenta manifestazione studentesca nel 1982, in cui quest'ultimo si unisce al gruppo e si guadagna il soprannome di "sopravvissuto". Dell'allegra comitiva entra poi a far parte la bella e vivace Gemma, di cui Paolo s'innamora perdutamente fin dal primo istante. Ma la perderà di vista quando la ragazza dovrà trasferirsi da Roma a Napoli per motivi familiari. La vita li cambierà, li allontanerà, li farà ritrovare per poi perdersi nuovamente, mentre sullo sfondo scorrono gli eventi epocali della Storia: la caduta del muro di Berlino, l'inchiesta di Mani Pulite, la fine della prima Repubblica, l'avvento del berlusconismo, gli attentati dell'11 settembre. Tra amarezze, delusioni, rimpianti, amori spezzati e occasioni perdute, il loro legame resisterà in qualche modo al tempo che passa inesorabile, senza fare sconti a nessuno. Ambizioso affresco popolare e sentimentale di Gabriele Muccino, sospeso tra il dramma romantico e la commedia di costume, che intende tracciare un malinconico bilancio generazionale degli attuali cinquantenni (o giù di lì). Ho utilizzato l'aggettivo "ambizioso" perchè un soggetto del genere sceglie di andarsi inevitabilmente a confrontare con due capolavori del cinema italiano ad esso "attinenti": C'eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola e La meglio gioventù (2003) di Marco Tullio Giordana. D'altra parte al regista romano l'ambizione, la spocchia e la capacità di rendersi naturalmente antipatico, non hanno mai fatto difetto. Inutile dire che, ogni sorta di paragone con uno dei due film prima citati, è inutile, impietoso e finisce per ridimensionare ulteriormente una pellicola già di suo zoppicante, stracolma di retorica, di moralismo, di ruffianerie sentimentaleggianti e di tutte i difetti tipici del cinema dell'autore. Volendo usare due aggettivi calzanti per questo film dovrei dire "mucciniano" e "baglioniano". Il primo è ovvio e non ha bisogno di spiegazioni, ma, volendolo leggere con accezione negativa, basti ricordare la consueta enfasi melodrammatica, la recitazione esagitata, i dialoghi urlati e furibondi, la costante ricerca di un effettismo emotivo di facile presa sul pubblico. Il secondo non deriva solo dalla forte presenza di brani del cantautore della "maglietta fina" nella colonna sonora (scritta in gran parte da Nicola Piovani), ma anche dal tono generale della pellicola: leggero, populistico, melenso. Un film-canzonetta, come ha brillantemente riassunto qualche critico. Nel cast di stelle nostrane (Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria e l'esordiente cantante Emma Marrone), le più brave sono le due donne, anche se il personaggio di Gemma sembra scritto a pennello per la fisicità sensuale e nervosa della Ramazzotti. Gabriele Muccino è forse l'unico regista italiano che riesce a far passare sotto traccia un bravo attore come Pierfrancesco Favino, mattatore in qualunque film in cui mette il naso tranne che nei suoi. E, credo, che questo vorrà pur dire qualcosa e dovrebbe far riflettere l'autore de L'ultimo bacio.
 
Voto:
voto: 2,5/5

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