Alle cure dello psichiatra Mark Powell viene affidato un nuovo paziente appena arrivato in clinica: un uomo che dice di chiamarsi Prot e di provenire da un pianeta di nome K-Pax che dista anni luce dalla Terra. Nella sua stravaganza l'uomo è estremamente lucido nei racconti su K-Pax, ha la capacità di vedere i raggi UV e possiede conoscenze scientifiche di altissimo livello. L'uomo afferma che il 27 luglio tornerà su K-Pax e porterà con sè uno dei pazienti della casa di cura. Mentre nella clinica iniziano ad avvenire strane guarigioni "miracolose", Powell cerca di indagare sul passato di Prot, interrogandolo sotto ipnosi. Scoprirà delle cose drammatiche, mentre il 27 luglio è sempre più vicino. K-PAX è un dramma fantascientifico d'atmosfera, ben scritto e ben recitato dall'ottimo Kevin Spacey e dal sempre efficace Jeff Bridges. Tratto dal romanzo omonimo di Gene Brewer, questo primo film americano dell'inglese Iain Softley soffre di un evidente scompenso tra una prima parte eccellente, carica di potente suggestione e di sottile ambiguità, ed una seconda più impervia e affannata, un po' contorta nella commistione tra fantascienza aliena e malattia psicologica. Anche la regia, più creativa e vivace nella tranche iniziale, sembra poi appiattirsi verso la ricerca programmatica di una risoluzione narrativa ad effetto. Come spesso accade al cinema tutto funziona bene fino a che alimenti il mistero e solletichi la fantasia dello spettatore, mentre i problemi nascono nel momento in cui cerchi di spiegare troppo cose, preferendo il freddo determinismo alla più stimolante ambivalenza. E, non a caso, l'autore cerca di riprendere il "volo" nell'epilogo, arrivando però fuori tempo e lasciando una sensazione di semi-truffa concettuale. Kevin Spacey domina la scena come sempre, pur incappando qua e là in qualche eccesso di manierismo autocompiaciuto. Menzione speciale alla colonna sonora di Ed Shearmur, fortemente evocativa.
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