Spagna 1939, durante la guerra civile. Dopo la morte del padre, il piccolo Carlos viene accolto in un orfanotrofio remoto che gli appare fin da subito "strano". Qui ha a che fare con la preside Carmen (priva di una gamba), il professor Casares (gentile e innamorato della preside), il rude custode Jacinto ed il bullo Jaime, un compagno turbolento che gli rende la vita impossibile. A complicare la situazione iniziano delle inquietanti apparizioni del presunto fantasma di un bambino scomparso anni prima, mentre l'ombra della guerra si fa sempre più vicina. Malinconico horror d'atmosfera del messicano del Toro, è stato il suo ultimo film di produzione latina prima di sbarcare a Hollywood. Forte di un'ambientazione d'epoca pregnante che detta l'intera cifra stilistica e che indirizza la seconda parte verso metafore politiche, è un favola nera sui fantasmi della storia, sugli orrori visti dalla prospettiva infantile, sul conflitto tra realtà e immaginazione e sul potere liberatorio della fantasia. Tematiche che saranno poi riprese in toto (insieme ad altri elementi tipici del regista come l'acqua o gli insetti) nel successivo Il Labirinto del Fauno (2006), più spettacolare, più celebrato, più violento, più ambizioso, ma, complessivamente, meno raffinato e meno equilibrato. Sono apprezzabili, e in buona parte riusciti, i tentativi di fare un film di paura rarefatto che lavori soprattutto sulle suggestioni, più seminale che truce, contaminandolo con toni da thriller gotico-psicologico ed un'anima da racconto di formazione etico-politico. Dal punto di vista estetico si avvale della preziosa fotografia di Guillermo Navarro, capace di conferire un risalto cromatico significativo e simbolico del periodo storico che fa da sfondo. Nel cast spicca la magnetica Marisa Paredes, come al solito capace di regalare un'intensa connotazione emotiva ai suoi personaggi. Molti tra i fans più integralisti del regista reputano La spina del diavolo il suo lavoro migliore.
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