Antonia e Massimo sono felicemente sposati da quindici anni. Quando lui muore tragicamente in un incidente stradale, lei entra in crisi, devastata da un dolore insopportabile. Un giorno trova casualmente una dedica nascosta sulla faccia posteriore di un quadro e scopre che il marito aveva un amante segreto da molti anni. Ferita e curiosa riprende a vivere, per indagare sulla vita misteriosa dell'uomo che credeva di conoscere alla perfezione. Quello che scoprirà la lascerà senza fiato, ma le cambierà la vita. Questa tragica commedia corale del turco naturalizzato italiano Ferzan Ozpetek è il film che lo ha fatto conoscere (e amare) dal grande pubblico, che ha rivelato a tutti il suo talento e la sua sensibilità particolare ed è, ancora oggi, il suo maggior successo commerciale. Ambientato nel quartiere Ostiense di Roma dove il regista vive, è un melodramma caldo e sensuale di matrice liberale cosmopolita, che oscilla tra il cinema psico-depressivo alla Antonioni e quello carnale e pittoresco alla Almodovar, con qualche bonario graffio all'ipocrisia borghese ed un'apologia tribale e "speziata" di un modello (invero un po' ingenuo) di famiglia allargata che appiattisce i ruoli e le identità (sessuali) in favore di un fluido collettivismo spirituale. Pur tra qualche forzatura ideologica di radice "gay pride" e alcune cadute nel kitsch, il film ha cuore e anima, è vitale e doloroso, è scritto con passione e lascia trasparire una grande tenerezza verso tutti i suoi personaggi. Gli attori sono bravissimi, Margherita Buy in particolare, ma anche Stefano Accorsi, Filippo Nigro, la simpaticissima Serra Yılmaz (attrice "feticcio" dell'autore) e persino il solitamente inamidato Gabriel Garko risultano ben sopra il loro standard abituale. Merito di Ozpetek, la cui capacità di selezionare e dirigere gli attori, stabilendo con loro una sorta di momentanea "comunione" emotiva, è fuori discussione. La verità può far male, ma è pur sempre la Verità, e vale comunque la pena combattere per essa. Si potranno scoprire nuovi "mondi" e nuovi aspetti di sè, a patto di sapersi mettere in discussione, sgomberando la mente dai pregiudizi. Alla fine dei conti è questo il messaggio finale che il regista intende comunicare.
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