Dal libro "Laurel & Hardy - The British Tours" di A.J. Marriot: nel 1953 il leggendario duo comico, amato in tutto il mondo da molte generazioni, è ormai lontano dagli apici del successo, da loro raggiunto durante il periodo dei fortunatissimi film a Hollywood. Anche se il pubblico è sempre dalla loro parte, gli anni passano e i tempi cambiano: l'avvento della televisione, le sale cinematografiche ed i nuovi comici più vicini alle mode del tempo stanno relegando in una nicchia i loro spettacoli teatrali dal vivo, l'autentica passione artistica dei due straordinari attori. Il contratto per un tour teatrale in Inghilterra diventa per Laurel e Hardy l'occasione per un bilancio artistico-esistenziale, la presa di coscienza di un glorioso periodo che si avvia alla conclusione e la riaffermazione del sentimento di amicizia che li lega, il vero propulsore della loro irresistibile verve comica. Non era impresa da poco portare sullo schermo una biografia della più grande coppia comica della storia dello spettacolo, due autentiche icone del cinema classico di cui tutti conosciamo i personaggi che li hanno resi "eterni", Stanlio e Ollio, ma solo in pochi sanno qualche dettaglio in più sulla loro vita reale, sulle persone celate dietro la maschera del buon umore. Lo scozzese Jon S. Baird ci è riuscito con questo film agile e sensibile, un ritratto dolce e malinconico di due amici, due uomini d'altri tempi e due artisti geniali. Lo stile è classico e garbato, il tono affettuoso e nostalgico, qua e là crepuscolare, in equilibrio tra dramma e commedia. Si ride, si sorride e ci si commuove, senza effettismi patetici, ma perchè disarmati da un sincero senso di ammirazione e nostalgia: per la fine di un'epoca, per la fragilità di due spiriti semplici e problematici, nascosti dietro l'ombra ingombrante di Stanlio e Ollio, e per l'ingenua purezza di un mondo "in bianco e nero" che ormai esiste solo nei materiali d'archivio, sui libri di storia o nei cari vecchi film di una volta. E', principalmente, un film di attori: gli straordinari Steve Coogan e John C. Reilly che ci offrono una caratterizzazione toccante, credibile e sobria dei due grandi comici. Avrebbero meritato ben più attenzione da parte dell'Academy Awards che, invece, li ha incredibilmente snobbati. Passato quasi in sordina nel nostro paese (ma solo a livello di pubblico, perchè la critica lo ha molto apprezzato), andrebbe invece recuperato e rivalutato. Il film non è una parafrasi retorica sul passatismo, ma un'elegia gentile sulla grandezza dell'arte, sull'impegno costante e serio che c'è dietro uno spettacolo comico, sull'ironia come cura dei mali del mondo e sulla magia di un'epoca in cui "tutto sembrava meglio", ma non perchè lo fosse davvero ma solo perchè lo spirito dell'uomo era più leggero. C'è il rimpianto, misurato e mai lamentoso, ma c'è soprattutto la celebrazione di due miti, ovvero di ciò che hanno rappresentato per l'immaginario collettivo. Perchè basta rivederli sullo schermo, anche se interpretati da altri attori, con le loro movenze, le loro gag, la loro mimica, le loro voci e subito si riaccende l'incanto, come se il tempo non fosse mai passato, come se Stanlio e Ollio fossero ancora qui tra noi, perchè questo è il miracolo dell'arte: l'unico modo per rimanere "immortali".
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