Agli inizi del ‘900 il capitano russo Vladimir
Arseniev ricorda, in flashback, i suoi due incontri con Dersu Uzala, solitario
cacciatore mongolo, senza fissa dimora e di età sconosciuta, avvenuti durante i
suoi lunghi viaggi nella taiga siberiana, al confine con la Manciuria, lungo il
corso del fiume Ussuri. Nel primo incontro il mongolo salvò la vita al capitano
e si fece apprezzare per le sue doti di acutezza, lealtà e saggezza. Nel
secondo, cinque anni dopo, Uzala era molto invecchiato e aveva quasi perso la
vista, divenendo così impossibilitato a cacciare. Nel tentativo di salvare il
vecchio amico, Arseniev lo condusse a casa sua in città. Ma il fiero
esploratore non poteva accettare d’invecchiare come un uomo comune e decise di
tornare alle sue selvagge foreste, separandosi per sempre dal suo grande amico.
Tratto dai due libri di viaggio del vero Vladimir K. Arseniev (“Dersu Uzala” e “Nel profondo Ussuri”), è un meraviglioso poema epico sul rapporto
tra l’uomo e la natura. Denso di lirismo poetico e di mistico panteismo, è
un’elegia sinfonica naturale in cui tutti gli elementi sono in assoluta armonia
reciproca. Straordinario il personaggio di Dersu Uzala, un tenero omino che
vive in simbiosi spirituale con la natura selvaggia, di cui è parte integrante,
interpretato con incredibile immedesimazione dall’attore non professionista Maksim
Munzuk. Tra poesia, etica, spiritualità e sentimento, Kurosawa realizza una
formidabile ode ecologica, rigenerante per la sua capacità di volare alto,
celebrando la magia degli spazi sterminati, il fascino delle terre selvagge e
la grande forza dell’amicizia. Dersu
Uzala è un possente film d’avventura e d’iniziazione, visivamente indimenticabile,
ma è anche un inno travolgente alla solidarietà umana ed ai buoni sentimenti,
nell’accezione più limpida e meno retorica del termine. E’anche il film che ha
segnato il ritorno dell’autore al grande cinema, dopo un periodo di profonda
crisi artistica ed umana che lo aveva condotto sull’orlo della depressione. La
forza visiva con cui Kurosawa esplora gli splendidi scenari siberiani, denota
uno sguardo affascinato, ricolmo di una gioia quasi infantile per come riesce a
catturare i colori, i suoni e lo spirito della tundra. Quello spirito, sacro ed
arcano, che ha iniziato ad abbandonare il vecchio “lupo” Uzala dopo che questi
ha dovuto uccidere la tigre per salvare il capitano Arseniev, infrangendo così
il suo patto panteistico con la natura e scegliendo, irreversibilmente, di
appartenere al mondo degli uomini. Va citata la memorabile scena della tormenta
di neve, rimasta a pieno diritto nella storia del cinema. La pellicola fu
premiata con l’Oscar al miglior film straniero nel 1976 e riconfermò l’estrema
vitalità artistica di un Maestro di cinema come Kurosawa, tra i più grandi in
assoluto, capace di reinventarsi a 65 anni e costretto a cercare coproduzioni
estere per continuare a regalarci i suoi inimitabili capolavori. Capolavori
come questo enorme affresco siberiano, che ci tocca il cuore e ci ammalia ad
ogni visione.
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