Nel settembre del 1944 l’ebrea Rachel
Stein, bella e giovane cantante di varietà, riesce a fuggire in Olanda, unica
superstite dello sterminio della sua famiglia da parte dei tedeschi. Unitasi
alla resistenza olandese decide di usare il suo fascino per introdursi nei
salotti del potere nazista, dopo avere assunto una falsa identità. Finirà per
innamorarsi dell’ufficiale che doveva sedurre per carpirgli informazioni e sarà
accusata di alto tradimento dai suoi compagni partigiani. Questo thriller di
guerra con atmosfere da melodramma segna il ritorno del regista olandese alla
sua terra natia, dopo i grandi successi hollywoodiani. E’ un progetto più
intimo e sentito, un ambiguo dramma storico sugli ultimi mesi dell’occupazione
nazista in Olanda, che gioca spudoratamente con la carica erotica della sua
protagonista, con il confine sottile tra vittima e carnefice e con il concetto
stesso di identità, in un gioco di mistificazioni e colpi di scena in cui
nessuno è ciò che dice e, soprattutto, nessuno è del tutto colpevole o del
tutto innocente. Tra eroi ripugnanti e cattivi valorosi, l’autore mischia le
carte, rompe i cliché ed ambisce a tracciare un fosco apologo sulla natura
umana, da sempre dedita alla sopraffazione del più debole, con i consueti
spruzzi di violenza ed erotismo, tipici del suo cinema. Coraggioso e
anticonformista nel tratteggiare con sfumature diverse una tragedia storica
come il nazismo, Verhoeven affronta con originale complessità un tema scottante
come quello del collaborazionismo che, inevitabilmente, s’instaurò tra gli
oppressori ariani e una parte delle popolazioni occupate. Ma se da questi punti
di vista Black Book è un’opera ardita
quanto impeccabile, ne vanno altresì evidenziate le debolezze, a cominciare da
una storia d’amore francamente poco credibile e così in distonia rispetto al
tono generale della pellicola da risultare posticcia. Anche la ricerca costante
di scomode verità rispetto alle tesi storiche ufficiali rischia di divenire
eccessiva, programmatica e quindi tacciabile del medesimo estremismo retorico
(ma di verso contrario) che Verhoeven intende infrangere con questo film.
Resta, in ogni caso, un tentativo non banale, anche se non del tutto riuscito,
di rileggere criticamente il più oscuro periodo storico del ‘900. Nel cast
brilla la protagonista, Carice van Houten, che regge costantemente la scena con
carisma e sensualità e ci regala più di un brivido erotico grazie al suo bel corpo
generosamente esibito. I fans del provocatorio regista troveranno pane per i
loro denti in questo film cupo che ha suscitato non poche polemiche alla sua
uscita. Ma si sa che abbaiare tanto non equivale poi sempre a mordere con pari
efficacia.
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