martedì 29 marzo 2016

Black Book (Zwartboek, 2006) di Paul Verhoeven

Nel settembre del 1944 l’ebrea Rachel Stein, bella e giovane cantante di varietà, riesce a fuggire in Olanda, unica superstite dello sterminio della sua famiglia da parte dei tedeschi. Unitasi alla resistenza olandese decide di usare il suo fascino per introdursi nei salotti del potere nazista, dopo avere assunto una falsa identità. Finirà per innamorarsi dell’ufficiale che doveva sedurre per carpirgli informazioni e sarà accusata di alto tradimento dai suoi compagni partigiani. Questo thriller di guerra con atmosfere da melodramma segna il ritorno del regista olandese alla sua terra natia, dopo i grandi successi hollywoodiani. E’ un progetto più intimo e sentito, un ambiguo dramma storico sugli ultimi mesi dell’occupazione nazista in Olanda, che gioca spudoratamente con la carica erotica della sua protagonista, con il confine sottile tra vittima e carnefice e con il concetto stesso di identità, in un gioco di mistificazioni e colpi di scena in cui nessuno è ciò che dice e, soprattutto, nessuno è del tutto colpevole o del tutto innocente. Tra eroi ripugnanti e cattivi valorosi, l’autore mischia le carte, rompe i cliché ed ambisce a tracciare un fosco apologo sulla natura umana, da sempre dedita alla sopraffazione del più debole, con i consueti spruzzi di violenza ed erotismo, tipici del suo cinema. Coraggioso e anticonformista nel tratteggiare con sfumature diverse una tragedia storica come il nazismo, Verhoeven affronta con originale complessità un tema scottante come quello del collaborazionismo che, inevitabilmente, s’instaurò tra gli oppressori ariani e una parte delle popolazioni occupate. Ma se da questi punti di vista Black Book è un’opera ardita quanto impeccabile, ne vanno altresì evidenziate le debolezze, a cominciare da una storia d’amore francamente poco credibile e così in distonia rispetto al tono generale della pellicola da risultare posticcia. Anche la ricerca costante di scomode verità rispetto alle tesi storiche ufficiali rischia di divenire eccessiva, programmatica e quindi tacciabile del medesimo estremismo retorico (ma di verso contrario) che Verhoeven intende infrangere con questo film. Resta, in ogni caso, un tentativo non banale, anche se non del tutto riuscito, di rileggere criticamente il più oscuro periodo storico del ‘900. Nel cast brilla la protagonista, Carice van Houten, che regge costantemente la scena con carisma e sensualità e ci regala più di un brivido erotico grazie al suo bel corpo generosamente esibito. I fans del provocatorio regista troveranno pane per i loro denti in questo film cupo che ha suscitato non poche polemiche alla sua uscita. Ma si sa che abbaiare tanto non equivale poi sempre a mordere con pari efficacia.

Voto:
voto: 3,5/5

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