Liz è una prostituta che batte i marciapiedi della
Los Angeles notturna. Con un passato doloroso alle spalle, ha scelto di fare la
“vita” per guadagnare più soldi e cercare di far crescere suo figlio in modo
decente. Ormai indurita nel cuore e “rotta” a tutte le esperienze, cerca di
sfuggire al suo protettore Blake, uomo violento e autoritario, che l’assilla
con le richieste del “pizzo” e che intende punirla per la sua fuga. Troverà
aiuto in uno strano ragazzo di colore, Rasta, che vive facendo l’artista di
strada. Crudo ritratto di una donna di strada, tratteggiato con aspro realismo
e messa in scena “senza sconti” da Ken Russell, eterno provocatore del cinema
britannico. Non è, ovviamente, un film per famiglie e gli animi sensibili
potrebbero uscirne sconvolti per la brutale durezza, ma ha i suoi meriti al di
là del mero scottante documento sociale, che pesca a man bassa nel torbido metropolitano.
L’autore rinuncia del tutto alla sua estetica barocca, ai suoi manierismi
visionari, in favore di uno stile “Godard” asciutto e teso, volutamente rozzo,
che guarda dritto al cinema verità della Nouvelle Vague.
Come al solito, in questi casi, è difficile dire dove comincia l’analisi
antropologica e dove finiscono gli indugi morbosi, ma, chi conosce il regista e
la sua idea di cinema, non rimarrà di certo stupito da un’opera del genere. Col
suo consueto sarcasmo Russell dichiarò di aver girato questo film come risposta
polemica al celebre Pretty Woman
hollywoodiano, favola sentimentale che ci mostra una visione edulcorata e
banale delle “donne di vita”. Sempre sospeso tra kitsch e genialità, l’autore
confeziona un affresco sgradevole, ma crudelmente realistico, del mondo della
prostituzione, contornandolo di tutte le figure meschine, le situazioni sordide
e le miserie umane che, inevitabilmente, vi gravitano intorno. Lo stile in
presa diretta si porta dietro ineluttabili strascichi di bizzarria e volgarità,
evidentemente funzionali all’ambiente oggetto della descrizione, ma l’utilizzo
del meta cinema conferisce al tutto un’acuta dimensione straniante. Infatti Liz
parla quasi sempre in macchina da presa, rivolgendosi al pubblico come in
un’intervista senza filtri, e nella scena del film nel film, quando Liz e Rasta
vanno al cinema, la realtà esterna sembra quasi sovrapporsi alla finzione sullo
schermo. Notevole l’interpretazione della protagonista Theresa Russell, che si
dona senza remore alla macchina da presa, offrendoci una performance intensa e
dolente, che ci restituisce tutta la rassegnata desolazione dell’ambiente delle
“lucciole”. Il film ha fatto molto parlare di sé alla sua uscita, accompagnato
dai soliti cori scandalizzati tipici delle opere di Russell, ed ha diviso anche
i fans del regista. La versione italiana è stata ampiamente tagliata dalla
censura ed è più corta di sette minuti rispetto all’originale, che è però
facilmente reperibile in lingua inglese.
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