martedì 8 marzo 2016

Jona che visse nella balena (Jona che visse nella balena, 1993) di Roberto Faenza

Jona Oberski è un piccolo ebreo olandese che, nel 1942, alla tenera età di 4 anni, viene deportato in un campo di concentramento nazista insieme ai suoi genitori. Il piccolo Jona cresce in quell’orrore, tra soprusi, ingiustizie e privazioni, e perderà entrambi i genitori, troppo provati dalle condizioni di vita inumane del lager. A 7 anni sarà liberato dall’arrivo degli “alleati” e verrà adottato da una famiglia olandese, ma il dolore di un’infanzia rubata dall’abominio nazista rimarrà per sempre dentro il suo cuore. Dal romanzo autobiografico “Anni d’infanzia” del vero Jona Oberski, poi divenuto uno stimato fisico nucleare, Faenza ha tratto un film splendido, sobrio, delicato, struggente ma senza mai varcare quella linea di confine che travalica nella retorica del dolore, nell’enfasi sentimentale o nella spettacolarizzazione lacrimevole di un’immane tragedia storica come la Shoah ebraica. Equilibrato e lucido, l’autore piemontese sceglie l’assoluta fedeltà al testo ispiratore ed affida tutte le emozioni alla forza dello sguardo puro di un bambino, il piccolo Jona, dalla cui ottica l’intero racconto ci viene narrato. Il punto di vista in soggettiva del piccolo protagonista rende il film un’esperienza unica, magica ed atroce, perché l’infanzia ha il potere inconsapevole di modificare la realtà, scegliendo i particolari da cogliere, quelli da cancellare e quelli da modificare con la forza salvifica della fantasia. Straordinaria, in tal senso, la scena in cui Jona assiste alla morte del padre nell’infermeria del lager, per poi “dimenticarsene” subito dopo perché intento a giocare con le grosse scarpe del genitore, che gli scappano dai piedi e gli fanno sbagliare strada mentre cerca di trovare sua madre. Nella seconda parte dell’opera il tono stilistico cambia radicalmente perché Jona sta crescendo e, di conseguenza, anche la sua prospettiva del mondo si va modificando, tra innocenza perduta e tenace istinto di sopravvivenza. Sebbene il tema dell’Olocausto sia stato affrontato tante volte dal cinema, questo film di Faenza ha una propria originalità, una fiera dignità artistica per l’approccio pudico, asciutto, sussurrato più che urlato, indignato e mai patetico, con una sobrietà di sentimenti che non può che lasciare ammirati. Stupendo il commento musicale di Ennio Morricone, vibrante e misurato, in perfetta armonia con l’atmosfera dell’opera.

Voto:
voto: 4/5

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