Jona
Oberski è un piccolo ebreo olandese che, nel 1942, alla tenera età di 4 anni,
viene deportato in un campo di concentramento nazista insieme ai suoi genitori.
Il piccolo Jona cresce in quell’orrore, tra soprusi, ingiustizie e privazioni,
e perderà entrambi i genitori, troppo provati dalle condizioni di vita inumane
del lager. A 7 anni sarà liberato dall’arrivo degli “alleati” e verrà adottato
da una famiglia olandese, ma il dolore di un’infanzia rubata dall’abominio
nazista rimarrà per sempre dentro il suo cuore. Dal romanzo autobiografico
“Anni d’infanzia” del vero Jona Oberski, poi divenuto uno stimato fisico
nucleare, Faenza ha tratto un film splendido, sobrio, delicato, struggente ma
senza mai varcare quella linea di confine che travalica nella retorica del
dolore, nell’enfasi sentimentale o nella spettacolarizzazione lacrimevole di un’immane
tragedia storica come la Shoah
ebraica. Equilibrato e lucido, l’autore piemontese sceglie l’assoluta fedeltà
al testo ispiratore ed affida tutte le emozioni alla forza dello sguardo puro
di un bambino, il piccolo Jona, dalla cui ottica l’intero racconto ci viene
narrato. Il punto di vista in soggettiva del piccolo protagonista rende il film
un’esperienza unica, magica ed atroce, perché l’infanzia ha il potere
inconsapevole di modificare la realtà, scegliendo i particolari da cogliere,
quelli da cancellare e quelli da modificare con la forza salvifica della
fantasia. Straordinaria, in tal senso, la scena in cui Jona assiste alla morte
del padre nell’infermeria del lager, per poi “dimenticarsene” subito dopo
perché intento a giocare con le grosse scarpe del genitore, che gli scappano
dai piedi e gli fanno sbagliare strada mentre cerca di trovare sua madre. Nella
seconda parte dell’opera il tono stilistico cambia radicalmente perché Jona sta
crescendo e, di conseguenza, anche la sua prospettiva del mondo si va modificando,
tra innocenza perduta e tenace istinto di sopravvivenza. Sebbene il tema
dell’Olocausto sia stato affrontato tante volte dal cinema, questo film di Faenza
ha una propria originalità, una fiera dignità artistica per l’approccio pudico,
asciutto, sussurrato più che urlato, indignato e mai patetico, con una sobrietà
di sentimenti che non può che lasciare ammirati. Stupendo il commento musicale
di Ennio Morricone, vibrante e misurato, in perfetta armonia con l’atmosfera
dell’opera.
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