Ben è un uomo distrutto, alcolista allo
stadio terminale che ha perso famiglia, lavoro e dignità. Va a Las Vegas per
suicidarsi con l’abuso di alcol ed incontra Sara, escort disperata e presa a
calci dalla vita, anima persa come lui. I due si amano con sincera intensità ma
in modo platonico, perché lui è così minato nel fisico da esser diventato
impotente. Ma può l’amore cambiare il corso di un destino che sembra già
segnato? Cupo dramma sentimentale di Mike Figgis, che dirige con innegabile furbizia
il triste incontro di due solitudini nella città delle mille luci, tra
repentini stacchi di montaggio ed un cromatismo esasperato che ne mette in
risalto lo scintillio dei grandi alberghi ed i tramonti fiammeggianti, come da
cliché-cartolina. Ben e Sara sono due reietti, due esseri umani allo sbando,
desolatamente ai margini di quel sogno americano che viene invece incarnato dal
teatro del loro incontro: la città dei sogni, del vizio e del gioco, la città nel
deserto simbolo perenne della vanità umana, Las Vegas. Questo piccolo film
indipendente, girato con un budget esiguo, è un mesto cupio dissolvi, depresso e introverso, che ci conduce per mano
verso un finale ineluttabile. Esile nella trama e dimesso nei toni, è
sufficientemente ruffiano nella confezione, fedele a quella retorica del dolore
che tanto piace agli americani, da entrare immediatamente nelle grazie
dell’Academy Awards. In patria ha avuto larghi consensi di critica e pubblico,
ma resta un prodotto ampiamente sopravvalutato. Delle quattro candidature
ricevute (due a Figgis, per regia e sceneggiatura, e due agli attori
protagonisti) ha vinto Nicolas Cage, con una certa generosità da parte dei
giurati, grazie a un’interpretazione accademica e costantemente sopra le righe,
una di quelle performance “acchiappa premio”. Avrebbe invece meritato la
vittoria l’intensa Elisabeth Shue, con una prova di alto registro drammatico e
di grande disponibilità fisica. Bello e struggente il commento musicale, curato
dallo stesso regista, soprattutto per merito di alcuni blues di Sting che sanno
garantire vibranti atmosfere nelle scene madri. Il film è purtroppo macchiato
da un’ombra sinistra: è tratto dal romanzo omonimo di John O'Brien che si tolse
la vita, a soli 34 anni, subito dopo aver appreso che il suo libro sarebbe
stato adattato per il cinema.
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